Oggi voglio aprirvi il mio cuore in fatto di violenza sulle donne. Ho pensato molto, a se e come, poi mi sono decisa, perché ci sono tematiche per cui è necessario affrontare gli altri per affrontare se stessi e viceversa.

Se siete qui, vi prego di leggere tutto fino alla fine, perché ciò di cui sto per parlarvi è un argomento a cui tengo davvero moltissimo. Non solo: voglio proporvi un’idea, una specie di incantesimo collettivo.

Violenza sulle donne: e quella psicologica?

Nei giorni scorsi, ho letto una serie di articoli sulla violenza di genere. I dati sono drammatici. Una donna su 3 in Italia tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza, fisica o sessuale. Non solo. D.I.Re ha messo in rete in dati Istat e quelli raccolti nei centri antiviolenza: ne è emerso che più del 70% delle donne che ha chiesto aiuto è stato vittima di violenza psicologica.

Ecco, io di questo voglio parlarvi: violenza psicologica. Vi prego, continuate a leggere.

Un pezzo della mia storia

Da qualche tempo, mi ritrovo spesso a pensare alle relazioni sentimentali del mio passato, ritrovandomi a rendermi conto (solo ora) di quanto siano state tossiche. 

Qualche tempo fa, in una comune giornata qualunque, la mia mente ha portato a galla tutte in una volta le relazioni più importanti che hanno segnato la mia vita, dall’adolescenza all’età adulta. Tre.

In tutti e tre i casi, sono state usate parole che, lì per lì, ho lasciato andare. Credo siano stati quei fatti, più di tutto, più di ogni altra cosa, ad aver generato in me, nel tempo, una sensazione di frustrazione e fastidio.

Voglio raccontarvi di me

Permettete chi racconti delle mie storie. A voi il giudizio.

1. Se non fai quello che dico ti lascio

Prima relazione, ero una ragazzina, avevo 16 anni. Il mio principe azzurro giunto su un motorino bianco, dopo avermi conosciuto nel mezzo di una gigantesca compagnia di ragazze e ragazze pretese che non frequentassi più neanche uno dei miei amici.

Per evitare che anche solo mi imbattessi in un essere di genere maschile con cui fino a quel momento ero cresciuta, mi chiedeva di attraversare un campo di erba alta e folta, per evitare di passare accanto al luogo in cui la compagnia si ritrovava.

Non mi costrinse, ma di fatto lo fece: se non l’avessi assecondato, si sarebbe arrabbiato e mi avrebbe lasciato. E io lo assecondai. 

Ero troppo giovane per non comprendere che si trattava di un ricatto psicologico. Lui, probabilmente, altrettanto giovane per capire che lo fosse…

2. Se mi lasci ti umilio

Seconda relazione. Avevo circa 20 anni. Questa volta il mio principe, in sella a un sfrecciante grossa auto color giallo canarino, non pretese molto da me; fu una relazione strana, in cui ebbi sempre la sensazione che lui si vergognasse di me. E credo sia stato proprio per questo che non prese bene la mia decisione di chiudere. Decise di umiliarmi.

Come conclusiva frase ad effetto disse: “Ho perso 7 anni della mia vita con una che tutti dicevano non essere alla mia altezza”.

Non tanto lui, ma tutti.

Tutti ritenevano che fossi una “caccola” rispetto a lui.

Chi fossero quei “tutti” e quale fosse il metro con cui misurassero la sua altezza e la rapportassero alla mia non mi è ancora dato sapere e ogni tanto, purtroppo, me lo chiedo ancora. 

Mi chiedo anche se lui fosse consapevole di aver sciorinato quella tremenda frase solo per sottolineare che se anche lo stessi lasciando, a lui fregava poco.

3. Se non resti a casa sei una “troia”

Ma la terza. La terza è il racconto migliore. Costui, perché in altro modo non so chiamarlo, mi tradì dal primo all’ultimo giorno e mi usò. Solo a Milano, proveniente da una regione del Sud, di fatto si servì di me per avere un tetto sopra la testa.

In una delle innumerevoli discussioni, mi disse (udite udite): “Se fossimo nella mia Regione (che non citerò, perché non credo affatto che sia giusto infangarla con parole orribili come le sue)… se fossimo nella mia regione, tu saresti considerata una troia!”.

Ebbene sì.

E sapete perché? Perché voleva solo che stessi a casa a badare al focolare, senza vedere gente, senza uscire. A bè, io non cito la tua regione, caro, mi auguro solo che tu stia leggendo e che lo stia facendo anche tu madre, alla quale chiedevi ripetutamente di insegnarmi a stirarti camicie e lavare mutande. 

Non so se costui fosse consapevole dell’assurdità di quella frase. Ma non se ne pentì mai.

Ed ecco a voi signori e signori, le relazioni tossiche in cui mi sono di fatto imprigionata dai 16 ai 32 anni. 16 anni di nulla cosmico e di pressioni psicologiche di cui non mi ero mai accorta prima.

Perché? Perché mi domando?

E poi? Cos’è successo?

Perché ci sto pensando solo ora?

Sono fortunata, nella mia vita non ho mai subito violenze fisiche. Non oso immaginare il dolore e la sofferenza, la paura di chi è stata o è vittima di abusi fisici. Ripeto, sono fortunata. Ma mi rendo conto di essere stata per lungo tempo una donna a cui sono stati imposti, più o meno volontariamente, dei ricatti psicologici.

Non credo di aver subito, in fondo se da quelle storie sono uscita presto è stato perché sono stata capace di resistere. Però, non ne sono mai stata consapevole, fino ad ora.

Credo che ad alcune donne venga inculcato così, quasi fosse scritto nei geni, ch non devono ribellarsi. E credo anche che il gioco psicologico di certi uomini non sia volontario, in alcuni casi credo non sia nemmeno del tutto consapevole, è come se fosse la normalità. 

Ed è questo che è agghiacciante. Ruoli scritti da qualcuno molto molto in là nel passato, così difficili da scardinare e quindi anche solo da comprendere. Ecco perché capire di essere vittima di violenza psicologica è tutto fuorché facile. 

La ragione per cui mi sono trovata a pensarci oggi, più ci penso, più capisco che è solo una: il mio attuale compagno. A lui devo l’enorme senso di rispetto, dignità e amore. No, non quello che mi dà, ma quello che che mi ha insegnato di meritare. 

Il giorno in cui la mia mente ha letteralmente vomitato le frasi del mio passato, sono tornata a casa e gli ho raccontato tutto. L’ho ringraziato. E lo ringrazio ancora. 

E quel giorno ho come messo fine a qualcosa, ho come detto addio definitivamente a quelle storie che mi avevano lasciato quel senso di frustrazione, proprio perché avevano a che fare con una forma di violenza psicologica senza che me ne accorgessi.

Violenza psicologica: un dovere sensibilizzare

Va da sé che quest’anno mi sento in dovere di dire qualcosa sulla violenza di genere. Di fare qualcosa. Prima di tutto di raccontarvi, come ho fatto, le mie riflessioni, ma non solo.

E ora vi spiego. 

I libri, messaggeri di sorte: il libro di Marina Marazza

Poiché ho la certezza che i libri siano messaggeri di sorte, ecco che nel pieno di questa epifania psicologica mi sono imbattuta nel romanzo “Io sono la strega” di Marina Marazza. La storia vera di uno dei più famosi processi alle streghe che la storia abbia tramandato, a cavallo tra il 1500 e il 1600.

Caterina viene violentata a soli 12 anni e a 13 anni resta incinta. Come fosse una sua colpa, dopo che il figlio le viene tolto, va in sposa a un uomo che non è chi dice di essere e la costringe a prostituirsi. Ma Caterina è diversa, è forte e moderna, sa persino leggere e scrivere, e scappa per fare da sé il suo destino. Ma la ricerca del suo posto del mondo la porterà a essere tacciata di stregoneria: sottoposta a processo, lei non negherà mai, confermerà di essere una strega. 

Un libro di cui in questo momento avevo disperato bisogno. 

Caterina, vittima dell’ignoranza del suo tempo, subisce le violenze maschili e non solo, si ribella ma non riesce a sfuggirci pienamente e alla fine dà al mondo quel che vuole, dice a tutti di essere una strega. 

Anche io sono la strega

Donne, ditemi, chi non si rivede in questa storia. Alzate la mano, per favore, per urlare con me “Anche io sono la strega!”. Ma fatelo solo per smascherare tutti coloro che hanno usato la vostra fragile mente per soggiogarla al loro dominio. 

“Anche io sono la strega” deve essere il mantra di tutte quelle donne che hanno subito violenza psicologica e solo perché non hanno riportato un vistoso graffio sulla guancia non si sono sentite legittimate a raccontare di quella volta che qualcuno ha usato le parole per umiliarle, piegarle alla loro volontà, che ci sia riuscito o meno.

Non c’è vergogna o colpa, c’è consapevolezza, ed è questo che conta. Non siamo noi la colpa: essere strega, quindi, non è l’accettazione di un gioco psicologico, ma la forza di aver smascherato coloro che hanno usato la psicologia per sottometterci.

Onda che emetti, onda che attiri: l’incontro con Elisa Sergi

Nel meraviglioso mondo della psicologia, per cui onda che emetti è onda che attiri, in questo momento di rivelazione mi sono ritrovata a parlare di questo argomento con una psicologa che trovo assai particolare e che sui social di definisce “Psiconauta”: Elisa Sergi. Il suo modo di parlare di psicologia è immediato, colorato, semplice e sognante, e io lo adoro.

Avrei voluto intervistarla su questa tematica, ma nel parlare ci siamo trovate così affini, da decidere di organizzare insieme qualcosa di più efficace: lei come psicologa, io come giornalista, ci siamo sentite in dovere di sensibilizzare su questo delicato argomento.

Nei prossimi giorni vi sveleremo tutti i dettagli, ma il clou di tutto sarà di certo durante la Giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre.

Violenza sulle donne: pronte a un incantesimo collettivo?

La collaborazione femminile è così rara, ma così essenziale, che non posso che essere davvero fiera di collaborare con Elisa a questo progetto.

Credo fermamente che siamo noi donne a doverci liberare a doverci sostenere.

Il mio desiderio più grande è creare un incantesimo collettivo, per dire al mondo che la violenza psicologica è infida, subdola, sotterranea, difficile da individuare, ma c’è. Per tutte quelle donne che ne sono vittima, per quelle che lo sono state, per chi ancora non se ne rende conto. 

Pronte a un incantesimo collettivo?

2 Replies to “Violenza sulle donne: la mia storia e un incantesimo collettivo”

  1. Grazie per questa testimonianza, Eleonora.
    Hai detto una cosa fondamentale: spesso, nemmeno gli uomini si rendono conto di quanto possano essere violenti contro una donna, anche senza picchiarla. Questo racconto deve essere indirizzato a loro al pari delle donne stesse, perché riconoscano quanto di nefando sia arrivato loro da famiglia, tradizioni, ruoli deleteri, oltre che dal loro egoismo.

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