Corpi che contano” è un libriccino di poche ma intense pagine, che affronta in maniera semplice e seria la questione del razzismo e sessismo nello sport.

Lo sport è l’ambito di pertinenza, ma tutte le riflessioni proposte sono astraibili, per essere applicate a diversi altri luoghi e momenti.

C’è però da dire che lo sport è uno dei luoghi in cui il corpo è maggiormente esibito, plasmato e utilizzato, dunque è anche uno di quelli che più si presta alle riflessioni che ci sottopone l’autrice: ci sono corpi che, per il solo fatto di avere certe caratteristiche (avere la pelle bianca o avere il pene, per esempio) sono considerati migliori di altri, non solo da un punto di vista fisico, ma anche valoriale e morale.

Chi è Nadessha Uyangoda

Nadeesha Uyangoda è nata in Sri Lanka, ma vive in Brianza da quando aveva sei anni. È un’autrice freelance che da tempo si occupa di identità, razza e migrazioni. I suoi lavori sono stati pubblicati da Al Jazeera English, Not, «Rivista Studio», «The Telegraph», Vice Italia, openDemocracy.

Ho scoperto questa autrice ascoltando il podcast “Sulla razza“, che ha ideato e realizzato con Natasha Fernando e Maria Catena Mancuso. Un podcast davvero ben fatto e soprattutto, a mio avviso, utile, per approfondire la questione razziale in Italia: tema sempre più caldo, spesso derubricato a singoli episodi di ignoranza, senza che si affronti mai veramente e seriamente la questione del razzismo interiorizzato e sistemico.

Dicevo. Ho scoperto Uyangoda grazie al suo podcast, poi ho letto il suo libro “L’unica persona nera nella stanza“. “Corpi che contano” è la conferma: autorevole e preparata, Uyangoda è una voce da tenere in grande considerazione su queste tematiche.

Razzismo e sessismo nello sport: parliamone

Il modo in cui un corpo fa esperienza nel mondo e di sé è legato alle possibilità di chi quel corpo lo possiede. E le possibilità, lo sappiamo bene, sono legate in larga misura alla razza, al genere, alla nazionalità, alla normatività, alla classe e, in una misura altrettanto rilevante, alla casualità.

Attorno a questa frase si muovono le riflessioni di “Corpi che contano“, un brevissimo ma intenso saggio che affronta il tema del razzismo, intersecandolo con quelli del sessismo e del classismo nello sport.

Nadeesha Uyangoda unisce fatti personali con episodi che hanno avuto per protagonisti personaggi sportivi non bianchi che sono conosciuti in tutto il mondo, come Paola Egonu, Sara Gama, Mario Balotelli ecc.

Episodi di razzismo in campo, striscioni che incitano all’odio razziale o che propongono l’idea che “non esistono neri italiani” (striscione durante Romania-italia a Klagenfurt nell’ottobre del 2010), o frasi del tipo: “Se l’Italia è tanto razzista, com’è che non va a giocare a casa sua?”, sono conferme che il razzismo è una mentalità, non un episodio.

Ma sono anche fatti su cui soffermarsi, non serve a nulla cancellarli, per la vergogna di essere definiti razzisti.

Sono fatti che è necessario raccontare, per riconoscere i pregiudizi e gli stereotipi che circondano e definiscono lo sport (che poi, essendo da molti considerato lo specchio della società, allora è d’obbligo il parallelismo sport/società).

Solo riconoscendoli, si possono combattere: “Si possono decolonizzare anche i campi da gioco e gli spalti dai quali seguiamo i nostri idoli“, ci dice Uyangoda.

La questione della rappresentazione

Vedere una Egonu, un Jacobs, un Desalu o una Gama indossare la maglia azzurra sposta i confini, persino in modo inconscio e impercettibile, di ciò che riteniamo sia italiano o meno. Modifica cioè la nozione dominante di identità, finendo per ridefinire il “noi” e l'”altro”.

Vent’anni fa” scrive Uyangoda, “usciva il primo film in cui mi sono vista“. E ci racconta: “Ricordo di essere rimasta incantata davanti alla tv, mentre scorrevano le immagini di una ragazza che aveva i miei capelli, la mia pelle e i miei genitori“.

Vedersi. Una questione essenziale per tutti quei corpi che la società non considera, perché sono corpi considerati non conformi, corpi che non contano. Oppure vedersi in un certo modo, per tutti quei corpi che la società considera solo in un certo modo, come nel caso della rappresentazione delle donne nella pubblicità: o madri o oggetto del desiderio maschile.

Ecco, la questione di vedersi in questo saggio è trattata ed è essenziale. Il film a cui si riferisce Uyangoda è “Sognando Beckam“: “Quel film ha rotto il soffitto di cristallo per diverse ragioni: la rappresentazione femminile, nello sport, di una minoranza etnica britannica, della comunità Lgbtqia+

Vedersi, significa sentire di avere diritto di esistere, di appartenere. Esserci significa che, ti vede, sente che, se ci sei tu, allora può esserci anche lui. Immaginiamo cosa significhi per tutte le bambine italiane con la pelle non bianca.

Io riesco a empatizzare moltissimo, dal momento che, a furia di pubblicità di “Nouvelle cousine”, da bambina ero certa che il mio futuro fosse fare la mamma e imparare a cucinare per sfamare la mia numerosa famiglia…

Il corpo come resistenza

Ritengo che il corpo sia di per sé una manifestazione politica, religiosa, razziale.

Lo scrive Uyangoda in un capitolo in cui ricorda il giorno in cui, a otto anni, ha iniziato il suo corso di nuoto. In quel momento, scrive, “il mio corpo avrebbe smesso di essere solo mio […] e avrebbe cominciato a essere l’oggetto degli sguardi altrui. Una bambina nera che impara a nuotare

Il corpo non è neutro. Non lo è quello di chi semplicemente si iscrive a un corso di nuoto, non lo è a maggior ragione quello che pratica sport. Eppure “Lo sport si racconta vergine, incapace di vedere che la presenza stessa di alcuni corpo lo spoglia di quell’aria innocente“.

Il corpo è battaglia, è terreno di confine, terreno che può spostare confini, che può decolonizzare luoghi, anche e forse soprattutto quelli simbolici.

La mia opinione

In definitiva, “Corpi che contano” parla di sport, razzismo e sessimo. Ma non è solo per chi ama lo sport. Anche se, forse, chi è appassionato di calcio, a maggior ragione, potrebbe usarlo per riflettere e iniziare a partecipare a un controcanto necessario, a un nuovo modo di narrare le differenze.

Un libro brevissimo, che si legge in poche ore, ma che resta appeso al cuore, alla mente, al corpo: alle tante domande che si aprono, non vengono date risposte, ma spunti di partenza da comprendere per continuare un percorso verso la destrutturazione e la riscrittura di confini che definiscono quali sono i corpi che possono contare.


Se ti è piaciuta questa recensione condividila

Ogni settimana consiglio letture per riflettere. In ogni consiglio di lettura che propongo, c’è una visione: scegliere libri che non solo ci raccontano delle storie, ma che ci spingono a vedere il mondo in modo diverso.

Questa settimana ho selezionato “Corpi che contano” perché non è solo un libro da leggere, ma uno strumento di consapevolezza, una lettura che va oltre la pagina, un invito a guardare il mondo in modo critico e a riconoscere le dinamiche di potere che agiscono sui nostri corpi.

Condividi questa lettura con tutte le lettrici e i lettori che, come te, desiderano cambiare il mondo: anche leggere e scrivere sono atti politici. Se invece vuoi leggere le altre recensioni, clicca QUI


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *