“Cuore nero” di Silvia Avallone è un romanzo a cui non si smette di pensare. Ne sono la prova: anche dopo mesi, continuo a interrogarmi su Emilia e sulla sua storia.
Ma è proprio in quel pensare che mi sono persa e vergognata, per poi uscirne un pochino più consapevole. Perché il tema cardine di questo romanzo spinge, volenti o nolenti, al giudizio, che è sempre figlio di un pre-giudizio. E interroga chi legge sul bene e il male che abbiamo dentro, su chi siamo e sul senso di essere davvero umani.
Un libro specchio
“Cuore nero” è stato per me un ‘libro specchio’.
Per ‘libri specchio’ intendo quelli in cui, mentre leggi, ci vedi riflessa la tua faccia, e sei costretto a guardarla e a leggerci scritte sopra le tue paure, i tuoi pregiudizi, tutte le tue convinzioni di sapere per certo cosa faresti tu al posto di Tizio, Caio o Sempronio. I libri specchio fanno sgretolare tutto: niente è più come prima quando li finisci.
Ed ecco che, dopo mesi (che è stato il tempo di cui ho avuto bisogno prima di riuscire a scrivere questa recensione), sono ancora qui a chiedermi se esiste davvero il perdono anche laddove la colpa supera l’immaginazione e se, qualcuno che si è comportato in maniera mostruosa, possa essere considerato al di là e oltre le proprie azioni: mostro è chi il mostro fa?
Ma soprattutto, dopo mesi, sono qui a guardare la mia faccia riflessa nella copertina di “Cuore nero” e a chiedermi se, io che mi ritengo al di sopra di pregiudizi e prescrizioni, sarei davvero capace di non averli davanti a gesti che non riesco né a immaginare né a comprendere.
La verità è che la risposta non esiste. Non tutte le domande hanno risposta e quelle che pone “Cuore nero” sono tra le più insidiose che si possano immaginare: sono quelle che possono renderti libera o schiava.
Trama “Cuore nero”
La protagonista di “Cuore nero” è Emilia, una trentenne che giunge a Sassaia il giorno dei morti.
L’unico modo per raggiungere quel minuscolo borgo incastonato tra le montagne è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un’adolescente di trent’anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo, la percorre con il padre. Dalla casa accanto, Bruno, assiste al suo arrivo come si assiste a un’invasione: quella donna ha l’accento “foresto” e un mucchio di borse e valigie, cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo?
Bruno lavora come insegnante in una scuola elementare, vive da solo sin dall’età di diciotto anni nella casa che un tempo apparteneva alla sua famiglia, ed evita ogni contatto con il mondo esterno. Emilia, invece, cerca il rumore, senza non riesce a dormire e, anche se ripara in quel borgo isolato per fuggire dal mondo e dal suo giudizio, ha fame di tutta la vita che non ha potuto vivere, perché fino a poco prima era chiusa in carcere.
Quando finalmente s’incontrano, ciascuno con la propria solitudine, ognuno percepisce nell’altro lo stesso abisso, ma di segno opposto: è chiaro che entrambi abbiano conosciuto il male, ma lui per averlo subito, lei per averlo compiuto.
Il male di Emilia è tremendo, e lo dico mettendoci dentro la mia dose di pregiudizio: è un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. L’incontro scontro con Bruno, le farà amare la vita, al punto da volersela riprendere tutta cercando di tenerlo all’oscuro del suo passato.
Ma la verità è inevitabile e quando viene a galla Bruno (insieme a chi legge) deve farci i conti. Una volta lì, non può più essere ignorata. E si può provare rabbia, delusione, frustrazione, ma alla fine emerge una sola consapevolezza: si può piangere, ci si può infuriare, si può provare rabbia, oppure si può comprendere, ma farlo davvero.
Riflessioni sul romanzo di Silvia Avallone
Solo una grande scrittrice, come Silvia Avallone, poteva scrivere un romanzo che tocca temi così significativi con grande delicatezza, astraendosi da ogni giudizio, portando la riflessione di chi legge tanto in profondità.
L lettura di “Cuore nero” porta a riflettere sul ruolo del carcere come luogo di rieducazione, come stabilito anche dalla nostra Costituzione.
Davanti a delitti truci ed efferati, come quello di cui Emilia è protagonista, l’istinto prende il sopravvento: nel pensare di perdonare, ci si sente quasi in difetto nei confronti delle vittime. Reazioni umane, che anche Bruno sperimenta: quando scopre il nero di Emilia, la chiama ‘mostro’ e la allontana con durezza, come a volerla nuovamente punire per quello che ha fatto, come facciamo tutti, come fa la società stessa, sempre, con i colpevoli di reati così inimmaginabili.
Ma se alla prima reazione di pancia lasciamo subentrare una riflessione razionale, il ruolo educativo del carcere, la funzione di reinserimento nella società è, non solo sancita dalla nostra Costituzione, ma anche la logica sensatezza che la detenzione deve avere all’interno di uno stato di diritto.
E allora eccoci a comprendere che “Siamo chiaroscuri. Buchi pieni di buio da cui escono, a volte, fortuiti tagli di luce” e che “nessuno di noi contiene una persona soltanto“.
La mia opinione su “Cuore nero”
“Cuore nero” è un romanzo potentissimo, destabilizzante, che ci spinge alle più complesse delle riflessioni sul senso dell’umanità e del perdono.
Nessuno di noi è solo bene o solo male. Nessuno di noi è una cosa sola, è tante cose insieme, giuste o sbagliate, belle e brutte, forti e fragili. E infine, nessuno di noi può ergersi a giudice, nessuno di noi ha il diritto di stabilire cosa un’altra persona meriti o meno. E l’umanità, forse, si dimostra proprio così, con la comprensione che questa sia l’unica verità.
L’ho scritto prima, lo ribadisco: solo un’Autrice con la A miuscola come Silvia Avallone poteva scrivere una storia così profonda con una tale leggiadria, senza nessun giudizio di merito, solo raccontandoci il viaggio di una donna che, preso atto dell’irreparabilità di un enorme errore commesso, impara a vivere con il suo buio, in cui esiste ancora e comunque un cuore che batte.
Consigliatissimo!