“Ogni mattina a Jenin” di Susan Abulhawa è un romanzo a cui bisogna essere preparati.
Crudele e struggente, è allo stesso tempo bellissimo e poetico, di una bellezza dolorosa che ti si attacca al cuore e non lo lascia più. Uno dei libri più intensi e meravigliosi letti negli ultimi anni.
Trama di “Ogni mattina a Jenin”
“Ogni mattina a Jenin” è un romanzo di una potenza straordinaria. Racconta la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di “senza patria”.
Il punto di vista cambia spesso, ma la principale voce narrante è quella di Amal, brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja, che ci racconta di come i suoi antenati siano stati costretti ad abbandonare la propria casa di ‘Ain Hod, nel 1948, per il campo profughi di Jenin.
Si susseguono poi le drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato diventa un soldato israeliano, il secondo invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese.
In parallelo, si snoda la storia di Amal: l’infanzia, gli amori, i lutti, il matrimonio, la maternità e, infine, il suo bisogno di condividere questa storia con la figlia, per preservare il suo più grande amore.
Il prima e il dopo

In un tempo lontano, prima che la storia marciasse e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, prima della nascita di Amal, un paesino a est di Haifa viveva tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole.
Così inizia “Ogni mattina a Jenin”. Dal prima, quando un popolo fatto di famiglie, amici, innamorati, fratelli e sorelle, vive una vita “normale”, su una terra che concede frutti, profumi, storie, racconti che vengono da lontano, e hanno il sapore di qualcosa di dolce, potente, legendario.
Ma poi arriva il dopo, la distruzione. Dopo il 1948 ci sono milioni, miliardi (molti di più probabilmente!) di donne e uomini che cercano disperatamente un’idea di normalità in campi profughi, sotto il perenne controllo dei soldati, nella costante sensazione di precarietà, nel costante sogno di tornare alle proprie case, ai propri affetti, alla vita di prima.
C’è la storia della famiglia di Amal, prima della sua nascita e dopo la sua morte. Quattro generazioni di Palestinesi che vivono in una guerra imposta da altri. E perdono affetti, uccisi, rapiti, spariti, i palestinesi diventano corpi che non contano più per nessuno.
E c’è la storia di un fratello rapito, nato Ismail in una famiglia di arabi, cresciuto come David da una coppia di ebrei, che ci rivela come il punto di vista cambi completamente quando ti trovi da una parte o dall’altra e che la verità è una sola: tutti credono di combattere una guerra giusta, ma sono solo usati, traditi, mandati a morte per il potere e il prestigio di chi muove le pedine e sta al caldo nella sua confortevole casa.
La mia opinione su “Ogni mattina a Jenin”
E il terrore che abbiamo conosciuto è qualcosa che pochi occidentali proveranno mai […] La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre
Struggente, poetico, malinconico, meraviglioso, “Ogni mattina a Jenin” i legge con un nodo in gola, soprattutto perché la storia, quella del romanzo, si interrompe nel 2002, ma la Storia con la S maiuscola prosegue e la stiamo, purtroppo, ancora vivendo.
Nel descrivere la vita della famiglia di Amal, l’autrice non risparmia nulla ai lettori, li mette davanti allo strazio di vite cacciate, imprigionate, barbaramente uccise, umiliate, divise, strappate, che pure continuano a sognare. Ogni pagina è pura malinconia, nostalgia, brama di un mondo che non esiste più, o che forse non è mai esistito.
Ogni capito è un pugno nello stomaco, ci sono passaggi così dolorosi e strazianti che fanno contorcere lo stomaco e venire la nausea. Soprattutto perché mentre si legge si ha la terribile consapevolezza che è tutto vero: quello che è descritto è successo, sta succedendo e non accenna a smettere di accadere.
L’orrore di cosa l’essere umano può essere è tutto scritto sulle pagine di un romanzo che ci racconta la crudeltà, eppure è drammaticamente poetico, bellissimo, immenso nella sua bellezza.
Un libro che entra dentro e non lascia più!
Nasciamo tutti possedendo già i tesori più grandi che avremo nella vita. Uno di questi è la tua mente, un altro è il tuo cuore. E gli strumenti indispensabili di queste ricchezze sono il tempo e la salute. Il modo in cui userai i doni di Dio per aiutare te stesso e l’umanità sarà il modo in cui gli renderai onore. Io ho cercato di usare la mente e il cuore per tenere il nostro popolo legato alla propria storia, perché non diventassimo creature senza memoria, che vivono arbitrariamente in balia dell’ingiustizia.