Donne e scienza: le donne, ancora oggi, sono parecchio sotto rappresentate nelle discipline scientifiche e anche quest’anno, in occasione della Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza dell’11 febbraio, i media non hanno dimenticato di ricordarcelo, inondandoci di numeri (QUI un esempio).

I numeri, e poi?

Se si osservano i dati statistici di genere, sembra lampante: poche donne decidono di intraprendere percorsi nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), specie in alcune, e pochissime ricoprono ruoli apicali.

Ma siamo davvero sicuri che il nocciolo della questione stia nei numeri?

Voglio dire: favorire l’ingresso delle donne in settori scientifici che sono da sempre appannaggio maschile, e/o incentivarne i percorsi di carriera, sarebbe sufficiente per ridurre e/o eliminare l’iniquità di genere?

La risposta è ovviamente no e se analizziamo la questione da una prospettiva di genere possiamo comprendere facilmente il motivo.

Per parlarne insieme vi propongo due libri davvero interessanti:

  • Labirinti di cristallo“, che illustra una ricerca qualitativa condotta da Ilenia Picardi, mostrandoci come la metafora del soffitto di cristallo sia limitante per comprendere come stiano davvero le cose;
  • Oltre Marie“, un saggio di Nastassja Cipriani e Edwige Pezzulli, pubblicato dall’interessante casa editrice femminista “Le plurali.

Donne e scienza: dentro i “Labirinti di cristallo”

Riportando gli spunti emersi da un’indagine qualitativa effettuata su 44 scienziate e ricercatrici, che sono state intervistate direttamente e coinvolte in tre focus group, Picardi in “Labirinti di cristallo” ci mostra come l’iniquità di genere non stia solo all’ingresso e all’apice della carriera, ma riguardi la struttura, l’organizzazione e la cultura delle istituzioni scientifiche.

Riprendendo il concetto di soffitto di cristallo, metafora che si usa per raccontare la presenza di una barriera apparentemente invisibile che si frappone all’avanzamento della carriera scientifica femminile, Picardi mostra come non sia solo quello l’ostacolo che incontrano le donne lungo il loro percorso.

Non si tratta nemmeno di un ostacolo, ma di strade tortuose e labirinti in cui ci si perde, all’interno di istituzioni accademiche e scientifiche in cui si replicano meccanismi e pratiche di genere che costituiscono complicazioni e condizionamenti, diretti o indiretti, che hanno l’effetto di regolare l’ingresso, ma soprattutto la permanenza e la fuoriuscita delle donne dai percorsi scientifici. 

Pratiche e meccanismi di genere nelle istituzioni scientifiche

Ne cito alcuni.

Un’ impalcatura patriarcale delle strutture scientifiche, in cui prevalgono un modello di scienziato maschile e stili di leadership competitivi, poche donne in ruoli apicali che spesso risultano invisibili o che, per non essere escluse, tendono a replicare modi gerarchici e autoritari.

Ancora: una divisione di genere del lavoro, con donne confinate in discipline cosiddette soft considerate più adatte, reti scientifiche omofile che includono ed escludono, influenzando la reputazione e assegnando il merito, e che hanno anche il potere di condizionare percorsi di approfondimento, con effetti di genere anche sulla scienza e la ricerca stesse. 

Due i meccanismi che sono alla base di tutto questo: il meccanismo della meritocrazia, ovvero l’idea che vada avanti chi lo merita (peccato che poi il concetto di merito sia condizionato da stereotipi, bias e da reti scientifiche di cui sopra) e quello della presunta universalità della scienza, che la renderebbe dunque per forza neutrale anche rispetto al genere.

Donne e scienza: guardare “Oltre Marie”

Questa presunta universalità della scienza, fa sì che spesso si tenda a considerare la disuguaglianza di genere confinata a pochi e rari fenomeni, che sarebbero l’eccezione e sarebbero riconducibili a strascichi provenienti da un tempo passato, in cui già nella scelta scolastica c’era una forte differenza di genere.

Una visione che tende a considerare che basterà attendere la naturale fuoriuscita delle vecchie coorti e attendere l’ingresso di quelle nuove per raggiungere la parità.

Così, le poche donne che ce l’hanno fatta o occupano ruoli di prestigio o in posizioni apicali, sono considerate testimonianza e prova di questa idea.

E di questo parlano in maniera eccelsa Cipriani e Pezzulli, cofondatrici di weSTEAM, nel loro saggio pubblicato da Le Plurali: le due autrici, illuminando la scienza con una prospettiva di genere raccontano come sia necessario abbandonare le narrazioni eroiche su singole donne (poche) che sono riuscite a emergere, per raccontare la storia vera della scienza come istituzione costellata da personalità, per lo più maschili.

Ecco il senso del titolo: andare “Oltre Marie” (ovviamente Marie Curie) è la chiave di volta per comprendere perché le disuguaglianze persistono, nonostante la volontà di negarle, prendendo in considerazione più sguardi possibili, ridefinendo prospettive e relazioni, per mettere a fuoco una scienza plurale, che sia veramente neutrale, anche rispetto al genere.

In prospettiva di genere

I due saggi si sovrappongono, integrano e completano. Quello di Picardi ci dà una base empirica, quello di Cipriani e Pezzulli in qualche modo ce la dimostra.

Se Picardi ci parla di una struttura patriarcale delle istituzioni scientifiche e di come spesso anche le donne tendano a replicare stili di leadership maschili, ecco che Cipriani e Pezzulli ci raccontano di come Margaret Thatcher, ex premier britannica, avesse preso lezioni da una vocal coach per abbassare di 60 hertz la frequenza della propria voce, così da renderla più possente: più maschile e quindi più autorevole.

Nella prefazione di Patrizia Caraveo, grande donna di scienza che si è spesa in tante forme per la riduzione del gender gap in science, ci racconta della sua nomina nel 2003 a “Men of the Year” da parte dell’ABI (American Biographical Institute): quasi che se sei scienziata a quei livelli, non puoi che essere considerata uomo.

E poi, si parla di stereotipi, bias, effetti che producono le pratiche di genere, come il noto Effetto Matilda, che ho scelto proprio per questa ragione come nome per la mia newsletter: ISCRIVITI QUI.

In entrambi si invoca la necessità di una prospettiva di genere, spesso erroneamente intesa come femminile, quando in realtà pone l’accento sulle relazioni e su come il sesso sia un dato biologico su cui la società, i costrutti simbolici e le relazioni hanno costruito un potente sistema di differenze, che è appunto il genere.

Donne e scienza: a che punto siamo

Non vado oltre per non svelarvi troppo dei contenuti. Mi soffermo solo sulla risposta alla domanda iniziale. Davvero superare la poca presenza femminile nella scienza basterebbe? Certo che no. Il lavoro da fare riguarda la struttura, la sguardo, la visione. Per riprendere la storica Mary Beard, citata in “Oltre Marie

Non possiamo inserire le donne all’interno di una struttura che è già codificata come maschile. Quello che dobbiamo fare è cambiare la struttura

Per questo occorre uno sguardo plurale: dal momento che ogni prospettiva sul mondo è personale, parziale, distorta e vittima di condizionamenti, bias e stereotipi, ecco che indispensabile diventa una visione d’insieme, da più punti di vista e prospettive.

Una scienza più plurale sarà una scienza più preparata a identificare quei punti ciechi causati da un’unica prospettiva parziale dominante

Questi saggi aprono mondi. Da divorare!

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