Di “Io sono la strega” di Marina Marazza vi ho già parlato nel mio articolo dedicato alla violenza contro le donne. Un libro edito da Solferino Libri in cui mi sono imbattuta per caso, notandolo sullo scaffale di una libreria: la sua bella copertina rosso fuoco e il titolo mi hanno subito “stregato”.

Sono fermamente convinta che, come molte cose nella vita, anche i libri giusti capitino al momento giusto, ed è pazzesco pensare che mi sia trovata a leggerlo proprio mentre la mia consapevolezza in merito alla violenza di genere si stava risvegliando.

Trama del romanzo

“Io sono la strega” è la storia vera romanzata di uno dei processi alle streghe più famosi che ci sono stati tramandati dalla storia.

Caterina viene violentata a soli 12 anni e a 13 anni resta incinta. Come fosse una sua colpa, dopo che il figlio le viene tolto, va in sposa a un uomo che non è chi dice di essere e la costringe a prostituirsi. Ma Caterina è diversa, è forte e moderna, sa persino leggere e scrivere, e scappa per fare da sé il suo destino.

Da quel momento la sua vita sarà una vera avventura e la ricerca del suo posto del mondo la porterà a essere usata, abusata, desiderata. La sua abilità di adattarsi alle situazioni più disparate, il suo disperato bisogno d’amore, la necessità di sopravvivere agli abusi e ai potenti, la porteranno a escogitare diversi artifici che la condurranno a essere tacciata di stregoneria. Del resto anche lei stessa si è convinta di esserlo, di aver venduto l’anima al diavolo pur di sopravvivere.

Insieme alla sua storia, viaggia in parallelo quella di Salem, celebre boia con gli occhi di colore diverso, così bello da essere da tutti chiamato “angelo della morte”. Sarà chiamato a eseguire la pena a cui è condannata Caterina, il rogo. Ma proprio lì, tra quelle fiamme, si svela qualcosa che cambierà il destino di tutti.

“Io sono la strega” è una bellissima storia femminile, di lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione individuale, in un luogo e un tempo che sono quelli tra il 1500 e il 1600, ma che sono drammaticamente moderni e attuali.

Intervista a Marina Marazza, autrice di “Io sono la strega”

io sono la strega

Quella di Caterina è una storia estremamente attuale, e lei è un personaggio modernissimo. Marina Marazza ha ridato in qualche modo giustizia a un personaggio dibattuto e vero, quanto veri erano gli abusi e quanto è vero che certe cose sono ancora drammaticamente attuali.

Per capire meglio questo romanzo e la sua collocazione, ho intervistata l’autrice, Marina Marazza.

Di seguito, le mie domande e le sue risposte.

L’intervista

Come le è venuta l’idea di raccontare la storia di Caterina?

La vicenda di Caterina da Broni è citata anche ne “I Promessi sposi“. Ho messo le mani sugli atti del suo processo avventurosamente recuperati da due storici  negli anni Ottanta e la scintilla è scattata immediatamente: ho trovato una donna che si raccontava ai suoi giudici e senza rendersene contro proponeva una formidabile “scaletta” per un romanzo di vita vera, un tuffo in una macchina del tempo, con nomi, luoghi, dettagli… Ho avuto l’impressione che fosse quasi doveroso rendere nota la sua storia e l’ho fatto con immenso piacere ed emozione.

Nel leggere il suo romanzo, ho avvertito questo personaggio come estremamente attuale: una donna con una vita complessa, affascinante e misteriosa, che subisce violenze e anche le conseguenze, come fosse una sua colpa; una donna alla disperata ricerca d’amore, tanto  da arrivare a convincersi lei stessa di essere una strega. Cito un passaggio: “La necessità di essere amati. non era per quello, in fondo, che ero diventata una strega?”. Quanto questa donna e la sua storia possono essere inseriti nella discussione in merito alla violenza di genere anche oggi? 

Caterina è un perfetto esempio di quella che oggi definiremmo una donna abusata. Senza una famiglia che la difenda, in balia di un marito stalker che la vuole prostituta, con una professione non specializzata e precarissima come quella della serva che è in toto proprietà del suo padrone, vive una vita sempre in balia di persone ed eventi, e la presunta stregoneria che lei pratica, ovvero quei riti ingenui che affondano nella tradizione popolare, diventa un’arma di legittima difesa.

Ma Caterina, come emerge dagli atti del processo, è moderna anche nel suo essere una donna sensuale: le piace fare l’amore, quando ovviamente non si tratta di violenza o di sopraffazione, ma di un rapporto carnale desiderato. Lei non ci vede niente di male. E desidererebbe essere amata, avere un compagno, poter stare insieme ai suoi figli…

Oggi gli aguzzini di Caterina collezionerebbero una serie di denunce per reati gravi, allora era tutto permesso, soprattutto nei confronti dei più deboli. 

Sono moltissimi i passaggi in cui si parla della bellezza e della forza femminile come una colpa. Era sua intenzione, in qualche modo, affrontare questa tematica o è più un caso? 

“Carnosa, ma di ciera diabolica” dicono di lei gli atti del processo. Carnosa era un aggettivo positivo, come a dire che aveva tutte le curve al posto giusto. Ma di ciera, cioè di aspetto (ancora adesso si dice: che brutta cera hai!) diabolica, perché per esempio uno sguardo vivace, intelligente, indagatore, che non si abbassa davanti agli inquisitori, può già essere indizio di spudoratezza, di colpevolezza.  

La bellezza e la forza in una donna hanno sempre suscitato sospetto. La bellezza come arma di seduzione satanica, la forza di carattere come affermazione di una indipendenza vietata. Caterina non era particolarmente bella, per quanto piacente, e nemmeno attuava comportamenti rivoluzionari: cercava di vivere la sua vita, di arrangiarsi con le sue forze, esprimendo una incredibile resilienza contro i casi della vita. Una che senza far troppo chiasso non si arrende. 

Caterina incontra moltissime figure femminili e maschili, le prime drammaticamente costrette nelle scelte maschili, che siano essi genitori o mariti. Caterina, invece, in qualche modo è libera ed è una donna molto emancipata, sa persino leggere e scrivere… 

Questo era il suo orgoglio, la sua peculiarità, in un tempo nel quale l’analfabetismo femminile era la regola. L’invenzione della stampa aveva aperto nuove possibilità molto malviste dalla chiesa: se una donna sa leggere, anche se magari è una monaca che ha imparato per poter dire le preghiere e recitare i salmi, poi può leggere qualunque cosa.

L’acquisizione del sapere da parte delle donne (e anche da parte del popolo: Manzoni si scandalizzò quando seppe che c’era chi voleva insegnare a leggere e a scrivere ai figli del suoi contadini!) è potenzialmente veicolo di disordine, può mettere loro in testa idee scomode, come per esempio il fatto che non sia poi così scontato dover vivere prima obbedendo a un padre o a un fratello maggiore, poi a un marito e in vedovanza magari a un figlio… Caterina ha un’avventura molto significativa a Trino, culla degli stampatori cinquecentesca. 

Si parla tanto anche di altre tematiche: mi sembra torni spesso il concetto di destino, di lotta tra bene e male. E, altra questione che ho trovato molto importante, mi corregga se sbaglio: mi sembra che il concetto di giustizia sia come distorto. Coloro che decidono chi vive e chi muore, spesso sono coloro che fanno del male… 

L’amministrazione del potere della Milano dell’epoca è un vivaio di iniquità. L’amministrazione della giustizia si basa su presupposti spesso sbagliati e i tre dominanti (la corona di Spagna, la curia del Borromeo e il senato di Milano) sono dei verminai.

Il governatore spagnolo si sente il padrone, perché i milanesi sono sotto la Corona di Spagna, e pensa che gli spagnoli siano superiori. Le famiglie aristocratiche che si spartiscono il potere a Milano sono sempre quelle, i nomi sono sempre quelli, e i mercanti arricchiti stanno cercando di entrare disperatamente nel novero della nobiltà. Cominciano a riuscirci, pagando. Ovviamente hanno in mente i loro interessi, non quelli del ducato.

C’era corruzione, clientelismo, la legge era quella del più forte. A molti era concesso tutto, ma un servo accusato di aver rubato un fazzoletto come minimo  veniva impiccato.

 E infine il buon cardinal Federigo Borromeo non si sente secondo nemmeno al papa e vuole mettere il becco in tutto: vuole essere lui a dire se gli attori possono recitare a Carnevale o come deve essere fatta la facciata del duomo. La giustizia si basa sul presupposto che il popolo deve essere tenuto buono con la paura dell’inferno, prima in terra e poi nell’aldilà, un inferno fatto di supplizi, di pene, di esecuzioni efferatissime.

Non a caso la figura del boia è così importante: all’epoca del Ducato faceva parte anche la Svizzera italiana e quella che consideravano l’eresia riformata era alle porte, lì al confine. C’era il terrore di venir sopraffatti dalle idee di Lutero e si reagiva di conseguenza: tutto era eresia. Per esempio non credere all’esistenza delle streghe. 

Alla fine la vita di Caterina, anche se non possiamo raccontare come finisce, si chiuderà in un cerchio come perfetto e porterà anche del bene. Un messaggio di speranza? Il bene e la giustizia, in qualche modo, trionfano? 

Non credo che nella Storia il bene e la giustizia abbiano spesso trionfato. Nella maggior parte dei casi i cattivi non sono affatto stati puniti e i buoni non sono stati ricompensati. Quindi quello che possiamo fare è raccontare oggi le loro storie per restituire loro un po’ di giustizia postuma: tutto quello che può fare uno scrittore è questo, raccontare le cose come sono andate, restituendo infamia agli infami e giustizia ai giusti.

Il romanzo è ambientato al nord, in particolare a Milano, tanto che Caterina alla fine viene additata come “La strega di Milano”. A un certo punto si parla di una pestilenza, persino molto simile al Coronavirus… 

E’ una storia lombarda, nelle sue atmosfere, perché l’itinerario di Caterina si snoda dal pavese al Monferrato al milanese. La peste del Monferrato è stata un’affezione polmonare, molto simile al nostro Covid, che in sette giorni risolveva, dicono i cronisti: o morivi o vivevi, senza rimedio se non grandi preghiere. Caterina attraversa anche questa vicenda. Morirà prima della grande peste del 1630, quella bubbonica che racconta Manzoni.

La Milano dove lei vive è una città ricchissima, vivissima, in espansione, non quella spenta e distrutta dal contagio del 1630 portata probabilmente da un ex soldato, un certo Lovato, che maneggiò e vendette dei vestiti usati infetti dei lanzichenecchi e che fu il paziente zero… 

E’ tutto vero nel suo romanzo?

Come dicevo, il romanzo si basa sugli atti del processo e su una minuta ricostruzione d’ambiente. Nell’appendice si legge tutto ciò che è vero e si evidenzia quel poco che ho modificato, ravvicinando magari qualche accadimento per esigenza di narrazione.

Col lettore c’è un patto silente: lui ha il diritto di sapere se gli stai raccontando cose che son frutto della tua fantasia o se sono accadute. Io lavoro in questo modo, documentandomi come per scrivere un saggio e usando poi la forma di scrittura di un romanzo, dentro il quale ci sono tutte cose documentate, dai vestiti ai cibi ai luoghi agli usi a dettagli come la sciarpa gialla delle prostitute o il luogo dove la pittrice Fede Galizia teneva bottega.

La ricostruzione d’ambiente è fatta proprio di questi particolari, perché il lettore possa avere la sensazione di vedersi un film, di ritrovarsi dentro la narrazione, sentendone i rumori, annusandone gli odori.

Un messaggio che vuole dare alle donne che leggeranno il suo bellissimo romanzo?

Vorrei che alla fine chi legge abbia la sensazione di conoscere Caterina come un’amica perduta, di cui conservare un ricordo pieno di emozione.

io sono la strega

“Io sono la strega”: la storia di Caterina sia da insegnamento

Credo fermamente che la sensibilizzazione passi attraverso moltissimi canali, tra cui quello culturale. Della violenza sulle donne si parla tanto, ma mai abbastanza. Intorno al 25 novembre, Giornata interazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, gli appuntamenti dedicati al tema spuntano come funghi, poi più niente.

Eppure le violenza continuano e il nostro dovere è quello di continuare a parlarne, di educare le nuove generazioni, di uomini e donne, affinché certe cose diventino un lontano ricordo.

Se il problema è molto più grave in alcune parti del mondo, in Italia le donne picchiate, perseguitare e uccise sono ancora la quotidianità e questi episodi hanno senza dubbio a che fare, in gran parte, con retaggi culturali e ignoranza (nel senso proprio di non conoscenza).

La culturalizzazione può solo essere una forza. E leggere storie di donne che hanno combattuto per la loro indipendenza può solo giovare. Certo, Caterina visse a cavallo tra il 1500 e il 1600, le cose erano assai differenti, ma combattè con le unghie e con i denti, fece quanto in suo potere.

Di donne così, quante ce ne sono anche oggi? Quante vivono vessazioni di genitori e compagni, quante ritengono di non avere via di uscita, quante non ce l’hanno davvero?

Marina Marazza, una bellissima scoperta

Il discorso è ampio e potrei scriverne per giorni, ma voglio tornare sul romanzo e sulla sua scoperta della sua bravissima autrice.

Per concludere: un romanzo da leggere, una scrittura da conoscere e un’autrice da approfondire. Passate parola. Su tutto

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