Ci sono libri e libri.

Quelli che fanno sognare, quelli che fanno pensare, che distraggono, che emozionano, che commuovono, che fanno ridere. Quelli lenti, quelli che leggi con il cuore in gola, quelli pieni zeppi di colpi di scena, che non vedi l’ora di finire, che non ti piacciono proprio, che ti piacciono un sacco, belli ma che dimentichi subito.

Poi c’è il romanzo di Ade Zeno, “L’incanto del pesce luna”. Un romanzo edito da Bollati Boringhieri, che non è nessuno di quelli elencati, che non è paragonabile a nulla di quelli già letti, che mi ha così spinto al muro da doverlo capire prima di recensire. E come capire un romanzo, se non parlando con chi l’ha scritto?

Ho intervistato Ade Zeno, ma devo deludervi: non mi ha svelato nessun segreto sul suo romanzo. Però, grazie a ciò che mi ha detto, ho avuto la possibilità di riflettere sulla sua opera, sulla scrittura e sulla letteratura e su molto molto altro. Ve ne parlo di seguito.

L’incanto del pesce luna

Quando ho visto il libro di Ade Zeno nella vetrina di una libreria, sono stata subito rapita. Dal titolo, “L’incanto del pesce luna”, e dalla copertina, che ritrae uno specchio con all’interno la silhouette di una donna.

Ha subito richiamato un mondo onirico e favoloso in cui sono stata attirata, come un pesce nella rete di un pescatore. La fascetta recitava che era uno dei candidati al Premio Campiello, che non è poi così determinante: questo fattore infatti non è mai stato per me ragione per preferire un romanzo a un altro.

Ma il vero fiore all’occhiello, per me, è stata la trama.

Trama de “L’incanto del pesce luna”

Gonzalo fa un mestiere insolito (Gonzalo? Ma davvero? Un nome che ricorda il personaggio di una favola de “Le mille e una notte”).

Dunque, dicevamo… Gonzalo è impiegato come cerimoniere presso la Società per la Cremazione di una grande città, si occupa di organizzare e presiedere funerali laici nella Sala del Commiato dell’antico Cimitero Monumentale (non solo questo mestiere esiste davvero in Italia, ma è il mestiere dello scrittore, Ade Zeno).

È sposato con Gloria, conosciuta fra i banchi universitari, e ha una figlia, l’adoratissima Inés, che all’età di otto anni cade in uno stato di coma profondo a causa di una misteriosa malattia.

[…] La speranza, sempre più labile, di trovare una cura in grado di svegliarla, un giorno viene inaspettatamente riaccesa da Malaguti, uomo equivoco e affascinante che propone a Gonzalo di lavorare per lui, o meglio per la sua anziana padrona. In cambio della promessa di ricoverare Inés in una clinica esclusiva, Gonzalo abbandona la vecchia occupazione per passare alle dipendenze della Signorina Marisòl.

[…] Il suo aspetto è quello di una nonnina decrepita, ma una volta alla settimana la sua natura mostruosa le impone di divorare carne umana. Ormai troppo debole per procacciarsi cibo da sola, ha bisogno di un assistente in grado di cercare e condurre da lei le vittime sacrificali.

L’impresa non è semplice, gli ostacoli sono molti, e Gonzalo dovrà fare i conti non soltanto con il desiderio di salvare la figlia, ma anche con il bisogno di redimersi. E sarà proprio l’anziana Marisòl ad aprirgli gli occhi, insinuando il dubbio che anche lui sia un mostro come lei, come tanti, e come tutti.

Orrore o incanto?

Ho subito pensato: con questa trama, che diamine c’entra “l’incanto” di cui parla il titolo?

E con questo contrasto, il romanzo mi ha “incastrato”.

L’ho acquistato. Letto in qualche giorno. Ho avuto, per tutto il tempo, la sensazione di trovarmi sott’acqua, in un incubo. E quando l’ho terminato, mi sono sentita come quando, al risveglio dopo un brutto sogno, sospiri ringraziando che non sia vero.

Poi sono andata a leggermi le recensioni (si, le recensione le leggo sempre dopo, mi aiutano a comprendere il punto di vista degli altri e quindi il libro). Qualcuno lo definiva horror, qualcuno macabro, agghiacciante, folle, delirante, fantasy, triste ecc. Per me non era niente di tutto quello ma era anche tutto quello insieme. Ma continuavo a non capire, a non cogliere. La domanda che mi frullava in mente era: questo libro, vuole dirci qualcosa o non gliene frega assolutamente niente?

Alla fine, mi sono fatta coraggio: ho scritto ad Ade Zeno e ci siamo accordati per un’intervista.

Intervista ad Ade Zeno

Non è stata proprio un’intervista. Sarebbe più opportuno chiamarla chiacchierata, dal momento che ero davvero curiosa di capire i meccanismi che hanno portato Zeno a concepire una trama del genere. E così, la prima domanda è stata più una richiesta di conferma: il romanzo era la descrizione di un incubo? Gonzalo stava sognando?

Ho voluto rappresentare il mio incubo” ha commentato Zeno. “Il filo conduttore è l’inquietudine” e “la parola con cui potremmo descriverlo è trasfigurazione: ho voluto descrivere la realtà come se la osservassi da una lente deformata”, “creare una sorta di sospensione, una dimensione in cui mi capita di andare quando mi accorgo che la realtà è troppo, è qualcosa di più complessa”.

Perché? “Perché io stesso non ho un rapporto con la realtà tradizionale e tranquillizzante, ho un’idea della realtà come qualcosa che sia altro, non di così semplice e lineare comprensione”.

La seconda domanda, è stata un non domanda, tanto che Zeno mi ha proprio chiesto quale fosse… la domanda . Era relativa al messaggio, al significato: come già scritto prima, “questo libro vuole dirci qualcosa di specifico? Ha un messaggio? I personaggi hanno significati ben specifici?

La risposta a questa domanda è stata si, per alcuni personaggi, come la vecchietta cannibale, la signorina Marisol, che “simboleggia l’istinto, la parte più primitiva che ti fa agire e fare cose indipendentemente dalla tua volontà, quella parte affamata, non solo in senso letterale, ma in senso più simbolico”.

E poi Gonzalo, un personaggio scisso, che in questa storia deve combattere contro i suoi demoni, con i suoi conflitti e tutta quella che Zeno ha definito la “sua materia oscura”.

Ma ci sono anche scene che non ce l’hanno, questo significato, per esempio i passaggi in cui nella mente di Gonzalo compare uno pterodattilo: “Mi hanno chiesto perché un dinosauro, perché proprio quel dinosauro. Non lo so, l’ho immaginato così”, ha commentato l’autore.

“Quello che si scrive non è tutto a livello conscio”

E stato bello parlare con Zeno, bello da lettrice ma soprattutto da pseudo-scrittrice. Perché la penso come lui, quando dice che “non è tutto a livello conscio quel che si scrive”, perché “c’è una parte che ha a che fare con l’immaginario, che arriva così, che sgorga dall’istinto e non puoi giustificare”.

Zeno è uno scrittore atipico, non di certo uno di quelli che scrive storielle commerciali perché vanno di moda o possono attrarre un maggior numero di pubblico. La sua è una scrittura di nicchia, ma è letteratura, a mio avviso, di alto livello.

Se questo romanzo mi sia o meno piaciuto, ancora non lo so, ma so per certo che ha lasciato un segno. Il messaggio che cercavo, alla fine non c’era, come spiegatomi dallo stesso Zeno. “Non credo nella letteratura consolatoria, non mi fido di un libro che dà risposte, preferisco un romanzo capace di disorientare”.

Bene, se l’intento era questo, con me è riuscito. Tanto che da quando ho chiuso “L’incanto del pesce luna” non sono più riuscita ad aprire altro libro. Riflettendo sul senso dello scrivere, ritengo che ci siano romanzi che debbano essere valutati al di là del like o non like, del bene e del male, libri che sono stati cardini della storia della letteratura e in cui il romanzo di Zeno si potrebbe inserire perfettamente: un romanzo che non si dimentica è un romanzo che può superare tranquillamente i confini del tempo. Non a caso, quando ho chiesto all’autore quali siano i suoi scrittori di riferimento, ha citato, tra altri, Kafka, Borges e Cervantes.

Alla fine questo romanzo è arrivato terzo al Campiello. Non so se meritasse di vincere, con i premi letterari non ci azzecco mai. Certo è che merita di essere letto. E pensato a lungo, prima di essere giudicato.

Se tua figlia fosse guarita molti anni fa, se a un certo punto avessero trovato una cura, le cose sarebbero andate in modo diverso?

Penso proprio di sì.

Avresti smesso di lavorare per me, ad esempio.

Probabile.

Magari tua moglie sarebbe tornata a casa.

Difficile dirlo.

Avreste ricostruito la vostra vita pezzo dopo pezzo, una nuova esistenza tutta da inventare. E tu ti saresti ingegnato per dimenticare quello che hai fatto.

Quello che ho fatto lo ho fatto per Inès

Ne sei sicuro?

[…]

Ricordi quello che ti ho detto a proposito della fame, quella malattia che vive dentro di noi e non conosce pace? […] Se a suo tempo ho voluto sceglierti come collaboratore, è perché l’essenza della tua fame mi sembrava identica alla mia. Te lo si leggeva negli occhi che eri come me.

L’INCANTO DEL PESCE LUNA

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