“The Giver“, una sola parola: wow.
In pochi giorni ho letto il romanzo di Lois Lowry, pubblicato per la prima volta nel 1993, e letto il film, uscito quasi 20 anni dopo, nel 2012. Romanzo incredibilmente moderno, film davvero emozionante: promuovo a pieni voti entrambi, ma e uno dei pochissimi casi in cui premio il film che ha saputo colmare lo spazio vuoto lasciato dal libro. Mi spiego meglio a seguire.
Il mondo di “The Giver”
Iniziamo da film.
In un futuro non determinato, la società ha introdotto la Conformità: un mondo perfetto, dove non ci sono disuguaglianze, guerre, motivi per provare dolore, senza colori e quindi senza differenze, per esempio, nella pelle, negli occhi, nei capelli delle persone.
Ma non solo: è stata eliminata anche la capacità di provare emozioni, amore o paura, di sentire impulsi sessuali e persino la morte è un concetto che non esiste più, si parla più genericamente di “scaricamento” e di un “Altrove”. Insomma tutto ciò che può creare scompiglio è stato rimosso. Non cambia nemmeno il tempo, non piove, non c’è il sole o la neve, non esistono gli animali, eliminati grazie al controllo climatico, per garantire maggiore sicurezza o comunque meno rischi per gli esseri umani.
Nessuno è libero di scegliere.
Le famiglie (anzi le unità familiari) vengono create a tavolino, ma non generano figli, che gli vengono invece assegnati (un maschio e una femmina) dopo che vengono messi al mondo dalle Generatrici. Nella Conformità a tutti viene assegnato un ruolo, quando nella cerimonia dei Dodici (dodici anni) la società sceglie cosa farai da grande (dopo averti osservato e aver compreso le tue attitudini). Insomma, una specie di grande fratello che vede e sceglie per te.
In questa società regolata perfettamente nessuno ha ricordi di quel che accadeva prima, ne tanto meno del dolore o dell’amore. Solo una persona, il PORTATORE, è scelta per portare sulle proprie spalle le memorie di tutta l’umanità. Poiché questa persona è vecchia e stanca, la società individua in Jonas il prossimo Portatore: il protagonista, dunque, inizia il suo addestramento con quello che si fa chiamare DONATORE (THE GIVER, appunto).
Non ci vuole molto perché inizi a comprendere che la società non è cosi perfetta come è stato sempre abituato a credere.
Liberi di scegliere o no?
“Ma adesso che riesco a vedere i colori, pensavo: e se noi potessimo mostrargli cose che sono rosso acceso e giallo brillante? Se lui avesse la possibilità di scegliere, anziché tenerlo della Conformità?”
“Potrebbe fare le scelte sbagliate”.
“Ah, capisco cosa intende. Non avrebbe importanza finchè si tratta di un giocattolo. Ma dopo ha importanza, giusto? Quindi non vogliamo correre il rischio di permettere alla gente di fare le sue scelte”
“Non sarebbe sicuro” suggeri il Donatore.
“Decisamente no” rispose Jonas convinto. “E se le persone fossero autorizzate a scegliere i propri coniugi? E sbagliassero scelta?”
“O potessero scegliere il proprio lavoro?” proseguì quasi ridendo dell’assurdità della cosa.
“Spaventoso, vero?” disse il Donatore.
Jonas ridacchiò: “Terrificante. Non riesco proprio a immaginarlo. Dobbiamo davvero proteggere la gente dalle scelte più sbagliate”.
“E’ più sicuro”.
Ma quando la conversazione passo ad altro, a Jonas restò comunque una sensazione di scontentezza che non capiva.
Il portatore e the giver (il donatore)
A differenza dei suoi coetanei, a Jonas non viene assegnato un ruolo: il ragazzo viene scelto per essere portatore ed erede delle memorie di un passato che non esiste più e che nessuno conosce. Dovrà quindi sperimentare tutte quelle sensazioni che le altre persone non potranno mai più conoscere.
Benché gli dicano che si tratta di un onore, Jonas sente subito che tutto quel peso è insopportabile: tutto quel dolore sostenuto da una sola persona è angosciante e lo fa sentire solo. E si rende pur conto della bellezza, che dovrebbe essere condivisa: tutti dovrebbero conoscere cosa significa amare, avere paura, provare attrazione, sentire la neve, il calore del sole, la musica…
“Ma perché non possono averli tutti i ricordi? Penso che risulterebbe un po’ più facile se fossero condivisi. Io e lei non dovremmo sostenere tutto il peso da soli, se ognuno se ne prendesse una parte”.
Il donatore sospirò: “Hai ragione. In quel caso però il peso e la sofferenza graverebbero su tutti. E non lo vogliono. Ecco il vero motivo per cui il Portatore di ricordi è cosi essenziale per loro. Mi hanno scelto – e hanno scelto te – per liberarsi da questo peso”.
Un finale (troppo) aperto
“The Giver” è stato pubblicato per la prima volta nel 1993. Mondadori lo ha ristampato nella bellissima edizione che ho acquistato nel 2021 (che vedete in foto). Le prime e le ultime pagine fanno da cornice, sono state scritte dall’autrice, per inquadrare meglio la sua opera. Ed è grazie a queste che ho apprezzato il suo romanzo. Anche se…
Lo ammetto: il mondo creato dalla Lowry è geniale, perfetto e incredibilmente moderno per essere stato costruito negli anni Novanta. Il romanzo scorre tenendoti attaccata alle pagine, che però sono solo 200. Già a meta mi domandavo: ma come fanno a mancare così poche pagine? E in effetti, quando sono arrivata alla fine sono rimasta male. La storia sembra lasciata a metà. Manca proprio la parte più interessante, quella che parla del cambiamento.
Nell’epilogo dell’edizione 2021, l’autrice scrive: “avevo lasciato il finale aperto di proposito, mi piaceva che la conclusione della vicenda restasse indefinita, che il lettore avesse la possibilità di scegliere e decidere in autonomia“.
Benché i finali aperti mi piacciano molto, questo lo trovo “troppo aperto”. La sensazione che mi ha dato è proprio di mancanza, come se fosse stata troncata una parte del libro.
Il romanzo è arrivato a colmare quel vuoto e a farlo strabordare di sensazioni.
The Giver, il film
Il film uscito nel 2021 annovera davvero grandi nomi quali Meryl Streep (nel ruolo del capo Anziano), Jeff Bridges (il Donatore), Brendon Thwaites (Jonas) e Katie Holmes (la madre che compone l’unità familiare di Jonas).
La storia è attinente, a parte alcuni termini che sono stati leggermente modificati (per esempio, invece di “conformità” di parla di “uniformità” o al posto di “scaricamento” si usa “congedo”).
Colma però alcuni vuoti: per esempio, qui assumono maggiore importanza i legami affettivi del protagonista con gli amici di infanzia Asher e Fiona, e le loro relazioni prendono più spessore. Cambiano anche le dinamiche della “ribellione”, che avviene in maniera differente e coinvolge altre persone (nel libro, invece, riguarda solo lui).
Infine, il film prosegue portando a una conclusione che Lois Lewroy, come ho scritto prima, ha ritenuto di voler lasciare al lettore: in un certo senso, pero’, penso che il lettore voglia avere risposte quando legge, specie un distopico; risposte che nel romanzo non vengono date affatto. E questa secondo me è la sua grande lacuna.
Nel film, infine trovo eccezionale e molto forte l’accento sul concetto di “memoria collettiva”: diverse le immagini che richiamano differenze, razze, religioni, tradizioni, costumi, paesaggi, riti… e trovo meravigliosa l’idea alla base, ovvero che senza le memorie che ci vengono dalle nostre diversità non avremmo nulla, saremmo solo una comunità in bianco e nero incapace di provare amore.
E indovinate a chi è affidata buona parte della colonna sonora? Ovviamente ai One Repubblic: non conosco melodie più azzeccate a una storia che parla di formazione, coraggio e amore!