Recensione “La casa del sonno”: oggi è la Giornata Mondiale del Sonno, la dedico a un libro letto moltissimi anni fa, dello scrittore Jonathan Coe.

Sonno e sogni

Che rapporto avete con il sonno? E con i sogni? Per quanto mi riguarda, da ragazza il mio era un rapporto tormentato, altalenante tra insonnia, sonnambulismo, apnea notturna e chi più ne ha più ne metta.

C’è stato un momento in cui urlavo così forte mentre dormivo, da farmi sentire anche dai vicini. A quel punto, ho pensato di rivolgermi a un centro di medicina del sonno ed è allora che un amico ha pensato bene di regalarmi “La casa del sonno” di Jonathan Coe.

Recensione “La casa del sonno”

Il fil rouge del romanzo, infatti, è il difficile rapporto con il sonno di molti personaggi, che decidono proprio di farsi curare ad Ashdown, clinica in cui si svolgono ricerche sui disturbi del sonno e in passato dimora universitaria.

Enorme, grigia e imponente, Ashdown sorgeva su un promontorio, a una ventina di metri dalla viva parete della scogliera, ed era lì da più di un secolo. Per tutto il giorno i gabbiani ruotavano intorno alle sue guglie e torricelle con strida rauche e luttuose.

Il romanzo, infatti, si alterna tra due momenti temporali. La struttura ci viene svelata, sin da subito, dalla nota iniziale dell’autore, che scrive “I capitoli dispari di questo romanzo sono ambientati per la maggior parte negli anni 1983-84. I capitoli pari sono ambientati nelle ultime due settimane del giugno 1996“.

Trama de “La casa del sonno”

Negli anni Ottanta, dunque, sono raccontate le storie di alcuni studenti, con le loro difficoltà di relazione, di scambi interpersonali, di auto-definizione: Gregory, iscritto alla facoltà di Medicina, ossessionato dal sonno e dallo spiare le persone mentre dormono, Veronica, omosessuale e ultrapoliticizzata, è appassionata di teatro.

Poi ci sono Terry, interessato al cinema e sogna di dirigere un film, Robert, al terzo anno di Lettere, trascorre gran parte del suo tempo scrivendo poesie d’amore per Sarah, quest’ultima affetta da narcolessia e incapace di distinguere sogno da realtà.

Alla fine degli anni Novanta, invece, ecco le vicende della clinica privata dove il dottor Gregory (ex studente) si occupa di problemi del sonno: nelle sue “grinfie” finisce Terry, diventato giornalista.

Nelle sue “grinfie” è la definizione esatta, dal momento che il dottor Gregory Dubben custodisce un segreto che verrà svelato alla fine e riguarda un mistero nascosto nei sotterranei della clinica.

Opinione

A mio avviso, la bellezza di questo romanzo sta nell’essere scritto in modo tale da indurre ogni lettore a cogliere aspetti differenti della storia o concentrarsi su vicende e personaggi differenti. La forza è lo stile ironico, e un punto di vista multifocale, che permette all’autore di giostrare la narrazione a suo piacimento.

Il fatto che i personaggi principali della prima storia sono presenti anche nella seconda, permette allo scrittore di affrontare tematiche legate ai problemi della cosiddetta “generazione Blair”, parlando delle aspettative per il futuro, alla fuga dalla realtà, anche, perché no, attraverso il sogno.

E tutto il viaggio verso la conclusione è costellato di indizi, come piccoli sassolini, che conducono al finale inaspettato che svela ancora di più la volontà dell’autore di scrivere un’opera non necessariamente verosimile ma, piuttosto, ad effetto.

Conclusione

Questo romanzo è consigliato a tutti coloro che cercano una lettura coinvolgente ma non eccessivamente impegnativa. I temi trattati sono molto attuali, l’ironia è quella tipica inglese.

Consigliato anche a chi è affascinato dal sonno, con tutti i suoi disturbi che rivelano ansie e personalità, fino all’idea estrema di poterlo controllare e a un finale surreale… ma non troppo!

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