Violenza contro le donne: è di questo che parla “Un dettaglio minore“, il romanzo di Adania Shibli, scrittrice palestinese che il 20 ottobre avrebbe dovuto essere ospite a Francoforte, alla Buchmesse, a ritirare il premio LiBeraturpreis.

Purtroppo, a causa delle guerra iniziata da Hamas“, la consegna è stata rimandata a data da destinarsi.

Gli organizzatori del premio, hanno precisato che l’assegnazione non è in discussione, bensì il contesto: “si sta cercando un’ambientazione adatta per l’evento in un secondo momento”, hanno precisato.

Dopo il polverone che questa notizia ha alzato, mi è sembrato doveroso acquistare e leggere il romanzo della Shibli, che su Amazon, nella versione cartacea, è introvabile (effetto Buchmesse, presumo).

E ho scoperto che il romanzo della Shibil parla di tematiche scottanti, certo, ma quanto mai essenziali: il sessismo e la violenza contro le donne in un conflitto armato. Tematiche che, a mio avviso, rendevano la sua partecipazione all’evento quanto mai opportuna.

Chi è Adania Shibli

Adania Shibli è una scrittrice palestinese. Sono certa che prima di questa settimana molti di voi non ne avevano mai sentito parlare.

In Italia nel 2021 è stata pubblicata da La nave di Teseo, che ha tradotto il suo romanzo “Un dettaglio minore“. Prima ancora era stata la casa editrice Argo, che già nel 2007 aveva pubblicato “Sensi“, con cui era stata insignita del Qattan Young Writer’s Award-Palestine.

In Europa e nel resto del mondo, con “Un dettaglio minore” la Shibli è stata finalista nel 2020 al National Book Award, premio letterario statunitense, e nel 2021 all’International Booker Prize, riconoscimento internazionale assegnato nel Regno Unito.

Insomma, un’autrice di nicchia, ma che certo negli ultimi anni si è fatta notare. E ha attirato anche il radar della LitProm.

La LitProm e la Shibli

Nel 2023, l’agenzia letteraria tedesca LitProm decide di conferire ad Adania Shibli il LiBeraturpreis, un riconoscimento decisamente significativo per due ragioni fondamentali.

Primo, perché si tratta di un premio che viene consegnato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte, la più prestigiosa fiera del libro europea e una delle maggiori al mondo.

Secondo, perché è un premio riservato alle voci femminili provenienti da Africa, Asia, mondo arabo e America Latina, donne che, come scrive la stessa LitProm sul suo sito, sono da sempre “fortemente sottorappresentate”.

Ma allo scoppiare di nuove tensioni tra Israele e Palestina, la LitProm ha diramato un comunicato in cui annunciava che il premio non sarebbe stato consegnato durante la Fiera.

A causa della guerra iniziata da Hamas, di cui soffrono milioni di persone in Israele e Palestina, l’organizzatore Litprom e V. ha deciso di non tenere la cerimonia di premiazione del LiBeraturpreis alla Fiera del Libro di Francoforte

Al di là delle polarizzazioni e del tifo da stadio per una posizione o per l’altra, per costruire una mia opinione ho letto “Un dettaglio minore”, che racconta una storia vera, capitata nell’agosto 1949.

Per me questa avrebbe dovuto essere la sola e unica chiave di lettura: il romanzo della Shibli è una testimonianza tra centinaia di migliaia che raccontano le gravissime violenze sessuali commesse durante i conflitti armati.

E, nel caso passasse sotto traccia, è bene ricordare che lo stupro è un’arma di guerra. La violenza contro le donne NON è un dettaglio minore.

“Un dettaglio minore”, un romanzo sulla violenza contro le donne

La trama

Un dettaglio minoreè prima di ogni cosa la storia di una gravissima violenza sessuale commessa su una prigioniera di guerra, e sulla paura di un’altra donna, nata nello stesso luogo esattamente 25 anni dopo, che per quelle assurde convergenze che ci sono a volte in certe vite, decide di volerne sapere di più. Ma poiché per farlo deve spostarsi fuori dalla zona in cui le è permesso muoversi, affronta paure e pericoli che sono immaginabili e lo sono all’ennesima potenza… se sei donna.

Il libro è diviso in due parti. Nella prima, c’è la narrazione in terza persona di quello che accadde nel giorni che portarono al 13 agosto 1943, quando alcuni soldati israeliani attaccarono un gruppo di beduini nel deserto del Negev, uccidendo tutti tranne una ragazza adolescente, che venne catturata, stuprata più volte, uccisa e sepolta nella sabbia.

Nella seconda parte, la narrazione diventa in prima persona e la voce narrante è quella di una donna di Ramallah, che viene a conoscenza della vicenda della ragazza violentata e uccisa 25 anni dopo, e ne resta ossessionata, non solo per la gravità del crimine, ma perché è stato commesso esattamente il giorno in cui è nata.

Il dettaglio che ci ricorda di non seppellire la storia delle violenze

Quel dettaglio, quel giorno che coincide con la data di nascita, che agli occhi degli altri sarebbe un dettaglio minore, schiude l’inconscio individuale della narratrice e lo apre a quello collettivo, a quelle ferite sepolte, a quegli episodi che si vogliono insabbiare, proprio come il corpo della donna è stato seppellito, per essere cancellato.

“Un gruppo di soldati cattura una ragazza, la stupra e poi la uccide, 25 anni prima che io nasca: questo dettaglio minore, a cui le altre persone non farebbero neppure caso, rimarrà con me per sempre”

Quel dettaglio costringe la narratrice a spostarsi. A rompere le barriere che la confinano nella zona A della città, dove vive e lavora, e di cui è in possesso della carta di identità verde. La documentazione relativa alla violenza, infatti, si trova nella zona C, e benché spostarsi da alcune zone alle altre sia possibile, se non sussitono circostanze politiche o militari, ci sono alcune zone interdette ai più. Ma la narratrice trova l’aiuto dei colleghi, a cui racconta di doversi spostare per motivi personali, che le prestano carta di identità e di credito.

Quando è pronta a oltrepassare il checkpoint, però, ecco che succede qualcosa:

“A questo punto, non c’è nessun motivo che mi impedisca di intraprendere la mia missione, se non che, appena mi metto al volante, qualcosa che somiglia a un ragno si mette a tessere attorno a me i suoi fili, che pian piano diventano più consistenti e si trasformano in qualcosa di simile a una barriera, fili impenetrabili per chiunque, anche se estremamente fragili: è la barriera della paura”.

“Un dettaglio minore”, insomma, è sopra ogni cosa un invito a non seppellire la violenza contro le donne ma anche ogni forma di violenza, a non dimenticare mai la storia, gli abusi, la memoria collettiva. Per altro, le stesse motivazioni per cui è stato conferito il premio recitano: “La Shibli racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone”.

Un romanzo coraggioso e necessario

Al di là delle polemiche, se dovessi procedere a una recensione, farei una doverosa presmessa: questo romanzo è duro e crudo, ferisce e fa sentire sotto pelle la paura e la violenza.

Ritengo però che sia doveroso e necessario, perché la violenza contro le donne nei conflitti è una guerra nella guerra. Non c’è nessuno che possa contestare come lo stupro sia usato da secoli come arma di guerra e nonostante questo è uno dei crimini di guerra meno riconosciuti della storia.

Ecco, questo è il motivo per cui vi invito a leggere il romanzo. E per cui sono stra-convinta che la consegna del premio alla Shibli non doveva essere rimandata. L’autrice sarebbe salita su uno dei palchi culturali più prestigiosi d’Europa, che avrebbe dato un segnale di unità contro ogni forma di violenza, anche e qui soprattutto contro ogni abuso e violenza contro le donne e i bambini.

Ho notato che su Amazon, nella traduzione italiana, in questo momento non è possibile acquistare la copia cartacea, credo sia l’effetto Buchmesse e la notorietà a cui la polemica ha portato questa autrice. Lo spero. Se non altro quello che è accaduto ha avuto l’effetto necessario: la voce della Shibli è diventata ancora più forte.

Dopo l’annullamento del premio

La vicenda dell’annullamento del premio, ha scatenato le reazioni del mondo della cultura, non solo arabo e palestinese, ma internazionale.

Arablit, un collettivo di traduttori di libri arabi, ha scritto una lettera aperta a supporto della scrittrice palestinese, i cui firmatari continuano a salire e nel momento in cui scrivo sono arrivati a 1.300 e continuano a salire.

Tra loro ci sono Annie Ernaux (QUI la mia recensione del suo romanzo “L’evento”), Olga Tokarczuk e Ian McEwan, per citarne alcuni che i più conosceranno. Ci sono anche Elisabetta Sgarbi, editrice de La Nave di Teseo, e Gianni Schilardi editore di Argo Editrice, che hanno tradotto la Shibli in Italia, Monica Ruocco che l’ha tradotta.

Mi piace moltissimo la conclusione della lettera, che vi invito a leggere QUI: si racconta che la dichiarazione originaria di LitProm diceva che la decisione era stata presa in accordo con l’autrice. Adania Shibli ha negato, spiegando che la decisione non è stata presa con lei, ma presentata a lei. Poi ha commentato:

Se la cerimonia si fosse tenuta avrei colto l’occasione per riflettere sul ruolo della letteratura in questi tempi crudeli e dolorosi.

Il ruolo della letteratura in tempi dolorosi

Appunto, il ruolo della della letteratura. Quale deve essere questo ruolo?

Per me, la letteratura deve far parlare, permettere di conoscere tutte le posizioni, anche quelle a cui non abbiamo pensato, aiutarci ad aprire gli orizzonti, empatizzare e capire, dire no assoluto a ogni forma di abuso e violenza, indipendentemente dalle parti in causa.

Mi piace molto quello che ha commentato in un’intervista rilasciata all’Ansa Elisabetta Sgarbi, editrice de La Nave di Teseo che ha pubblicato “Un dettaglio minore“.

Un romanzo letterario, qualsiasi cosa racconti, sta, di per sé, dalla parte della pace. La letteratura non può mai stare dalla parte della violenza: può raccontarla, può sviscerarla, ma ne è sempre l’opposto”

E ancora:

“La letteratura e il contesto culturale stanno naturalmente in un rapporto dialettico. Certo che l’una condiziona l’altra, ma dovremmo dare per assodato che è necessario che l’espressione artistica sia libera. Sempre. Se si legge la Shibli, si entra nel rapporto tra vittima e carnefice, nel meccanismo allucinato che genera la violenza”

Ma cosa succede, se la letteratura diventa un motivo di divisione? Cosa succede se i libri non sono più ponti? Far parlare la Shibli non era ancora più importante adesso?

Per me la risposta a questa ultima domanda è solo e unicamente sì.

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