Coraggioso, doloroso, sincero, duro… necessario: “L’evento” di Annie Ernaux lascia senza parole.

Un lungo monologo senza capitoli, il flusso di coscienza di una donna matura che torna indietro con la memoria a 30 anni prima e racconta l’esperienza di lei stessa ragazza che cerca disperatamente di abortire in un mondo che non le riconosce questo diritto.

Senza necessità di dire nulla in più rispetto ai fatti, la Ernaux, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2022, usa la sua memoria intima per portarci a una riflessione collettiva, per far comprendere, come ha scritto Giusy Marchetta su Il Libraio “la necessità di costruire un presente più giusto per tutte quelle donne incinte a cui è proibito per legge o nei fatti decidere per se stesse”.

Una narrazione unica, attuale e necessaria, purtroppo ancora oggi.

Trama “L’evento”

Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che “le cose sono cambiate”. Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima

Ottobre 1963: una studentessa ventitreenne è costretta a percorrere vie clandestine per poter interrompere una gravidanza. In Francia l’aborto è ancora illegale, la parola stessa è considerata impronunciabile, non ha un suo «posto nel linguaggio».

Mentre la vita intorno a lei continua a essere la stessa, con la tesi da scrivere, le amicizie universitarie che impongono di essere vissute, i film al cinema da guardare e le festa da frequentare, lei non può più andare avanti come tutto il resto del mondo, quando scopre che qualcosa le cresce dentro la pancia.

Se il dottore che le conferma il suo stato dichiara che “I figli dell’amore sono sempre belli”, lei annota sul diario: “È orribile: sono incinta”.

Anni dopo, è anche grazie a quel diario che Annie Ernaux riprende in mano quella storia, la sua, per raccontare L’evento che le ha cambiato la vita, che l’ha resa di colpo adulta, per trasformarla in un’esperienza collettiva: “Non potevo morire senza aver fatto nulla di quanto che mi era accaduto. Se una colpa c’era, sarebbe stata quella” scrive.

L’evento” allora restituisce i giorni e le tappe di un’esperienza umana totale: le spaesate ricerche di soluzioni e la disperata apatia, le ambiguità dei medici e la sistematica fascinazione dei maschi, la vicinanza di qualche compagna di corso e l’incontro con la mammana, sino al senso di fierezza per aver saputo attraversare un’abbacinante compresenza di vita e morte.

L’evento individuale, diventa racconto collettivo

Se non andassi fino in fondo a riferire questa esperienza contribuirei ad oscurare la realtà delle donne schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo

Un viaggio che Annie Ernaux ritiene necessario e che lo è. “Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto” scrive. Ma “se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo“.

Un racconto che entra dentro come un macigno, in cui c’è la riflessione che attraversa generazioni di donne e che lo rende quindi collettivo e non più individuale.

Suor Sorriso fa parte di quelle donne , ma incontrate, morte o vive, reali o immaginarie, con le quali, malgrado tutte le differenze, sento di avere qualcosa in comune. Formano in me una catena invisibile in cui stanno fianco a fianco, artiste, scrittrici, eroine dei romanzi, donne della mia infanzia. Ho l’impressione che la mia storia sia in loro.

La poesia

Sebbene si tratti di un racconto duro, senza filtri, ci sono passaggi che ho trovato di rara bellezza.

Come scrive l’autrice: “Vedere con l’immaginazione o rivedere con la memoria è quanto accade di norma con la scrittura“.

Ed è questa la parte che ho amato e che in qualche modo riesce a trasformare la durezza in poesia: la Ernaux ne “L’evento” riesce a creare un mix meraviglioso di autobiografia, autoanalisi e riflessioni sul senso dello scrivere, grazie alla sua maestria nel rendere storia qualcosa che viene dalla memoria, ma che crea una magia con quello che si è provato e quindi immaginato.

I neonati piangevano a intermittenza. Nella mia stanza non c’erano culle, ma anch’io avevo sgravato. Non mi sentivo diversa dalle donne dell’altra sala. Mi sembrava anzi di saperne più di loro proprio per via di quell’assenza. Nei bagni dello studentato avevo partorito allo stesso tempo una vita e una morte. Per la prima volta mi sentivo in una catena di donne attraverso cui passavano le generazioni. Erano giorni grigi d’inverno. Galleggiavo nella luce in mezzo al mondo

Il senso degli eventi che cambiano la vita

Ma la vera meraviglia, risiede per me in questo ultimo passaggio, che svela tutta la bellezza, il senso di quello che si vive e si scrive, degli eventi che cambiano la vita.

Ho cancellato l’unico senso di colpa che abbia mai provato a proposito di questo evento, che mi sia successo e non ne abbia fatto nulla. Come un dono ricevuto e sprecato. Perché al di là di tutte le ragioni sociali e psicologiche che posso trovare per quanto ho vissuto, ce n’è una di cui sono sicura più di tutte le altre: le cose mi sono accadute perché potessi renderne conto. E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella vita e nella testa degli altri


PER LEGGERE ALTRE RECENSIONI CLICCA QUI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *