Attenzione, sto per parlarvi di una delle mie letture preferite dell’anno: inaspettatamente, “Le donne dell’Acquasanta” di Francesca Maccani, un romanzo storico che mi è stato regalato e che non avrei probabilmente mai acquistato da me, scala tutti i primati, posizionandosi in testa ai letti nell’ultimo anno (probabilmente non solo). Senz’altro in testa a quelli che mi hanno più coinvolto e commosso: mai ho pianto tanto leggendo!!!

Trama “Le donne dell’Acquasanta”

“Ma che dici? Ti sembrano cose che devono uscire di bocca a una fimmina per bene?” la ammonì Rosa, che imbarazzata prese a lisciarsi il grembiule e subito abbassò lo sguardo. “Che deve fare Maria? O cede o abbusca, lo sai, mica te lo devo dire io”

Siamo a Palermo, alla fine dell’Ottocento. Franca e Rosa lavorano in coppia, in sincrono perfetto, le dita sottili ed esperte arrotolano foglie di tabacco da mattina a sera.

Amiche da sempre, le due ragazze sono cresciute in un borgo di pescatori spalmato ai lembi della città, accanto alla Manifattura Tabacchi dell’Acquasanta. Diverse come il sole e la luna, impetuosa Franca e timida Rosa, respirano tutto il giorno l’aria greve della fabbrica, sotto lo sguardo predatorio dei padroni: sono infatti delle tabacchine.

Fuori da lì, dalla fabbrica, il mondo delle sigaraie e delle donne povere in generale è governato dagli uomini, mariti, padri, fratelli: il lusso delle ville del centro lo possono solo sognare, e se lo conoscono, è perché si sono vendute ai signori che le abitano per arrotondare la misera paga da tabacchine. Perderla è impensabile, e per questo le madri sono costrette a tenersi i figli neonati legati dietro la schiena, mentre faticano chine sui sigari.

Ma all’ennesimo sopruso, Franca decide che è ora di alzare la testa e lottare per un diritto che alle femmine sembra negato: la dignità.

Così, insieme a Rosa e Salvo, un sindacalista che ha il suo stesso spirito indomito e appassionato, combatterà per aprire un baliatico all’interno della Manifattura, uno dei primi asili per i figli delle lavoranti in una fabbrica nel Regno.

E scoprirà il prezzo da pagare per difendere le proprie idee e il proprio amore.

Storia di violenza, ma anche di amicizia

“Ci manca solo che qualcuno metta in testa al direttore strani grilli. Le donne solo a lavorare devono pensare, che troppo maluchiffari poi fa venire strane idee”, disse Ninni a mo’ di saluto, entrando nel suo ufficio. Il padre glielo aveva ripetuto più volte: “Una femmina la devi tenere occupata o si monta la testa, come a tua madre, e il modo migliore per tenere buona una femmina sono i figli, più ne ha e meno tempo ha  di pensare ad altro, che se pensa assai poi combina danno 

Che belle le storie femminili quando sono così resilienti. Che bello leggerle sempre, ma che bello ancor di più quando si leggono nel mese della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne (25 novembre). Non che una data cambi chissà cosa, ma ogni sottolinea e punta la lente di ingrandimento e che esista non è certo un male (anche se non è risolutiva, certo!)

Le storie di Franca e Rosa e di tutte le sigaraie loro amiche, Mela, Maria, Lena e tutte le altre, raccontano di violenza e soprusi, in un luogo e un tempo in cui le donne dovevano chinare la testa, stare zitte e fare quello che gli uomini comandavano.

Non solo a casa, ma anche al lavoro, dove le tabacchine sono costrette a subire le angherie di uno dei capi vigilanti, a cui più di tutti l’idea che le donne rivendichino diritti fa uscire di senno.

Ma questa è anche una storia di amicizia e di resilienza, di coraggio e di forza di volontà. Ho adorato la narrazione della quotidianità di Rosa e Franca, del legame tra le loro famiglie così diverse, delle feste di paese, della vita che scorre in un paese di provincia.

Storia di coraggio e resilienza

Non si rendeva conto cosa comportasse farsi avanti a nome di un gruppo di donne

Purtroppo è una storia vera e quindi il finale non è perfetto. Non faccio spoiler, ma è ovvio che le cose vanno come nella realtà. Accade che il lavoro delle sigaraie è faticoso, duro e lungo, gli ambienti non sono salubri e le madri sono costrette a portarsi i neonati a lavoro.

Se li legano al petto e a testa china arrotolano sigari per i ricchi. Quando scoppia un’epidemia, i bambini sono i primi a stare male: piano piano tutta la fabbrica è costretta a chiudere e quando finalmente riaprono i cancelli, ne sono morti parecchi.

E allora Franca non può più tacere, il suo carattere (e anche un po’ di incoscienza e avventatezza) non glielo permette, vuole giustizia e sa che si potrebbe ottenere se le donne si unissero e scioperassero, come stanno iniziando a fare gli uomini, altrove. Solo che la paura delle donne è troppa: la paura di ripercussioni, di non essere pagate, di non avere soldi per sfamare figli e famiglia, delle botte dei mariti quando le donne tornano a casa senza paga.

Ma Franca ha la testa dura e va come un trattore. E siccome questa non è una favola, ma la realtà, si scontrerà con la vita, con l’ignoranza, la cattiveria e tutto quello che tiene in piedi ancora quei retaggi culturali che fanno credere che a un uomo sia concesso tutto.

Perché leggere “Le donne dell’Acquasanta”

Per me “Le donne dell’Acquasanta” è un bellissimo romanzo che ricorderò anche per avermi fatto piangere a fiotti, da sola, in macchina, dove in un parcheggio correvo per leggere le ultime pagine.

Se dovessi dire perché leggerlo: senza dubbio per la storia, quella delle tabacchine, che merita di essere conosciuta, e per le protagoniste, che sono forti e credibili, ognuna con un proprio carattere ben preciso, non solo le protagoniste Franca e Rosa, ma tutte le donne che gravitano loro attorno. La narrazione è coinvolgente, i dialoghi credibili e l’aggiunta del dialetto aiuta a immergersi nella storia.

Infine, immagino il lavoro che ci possa essere stato dietro: lo studio del contesto della fabbrica, del contesto storico, di tutto, deve aver richiesto alla Maccani un impegno considerevole, davvero ammirevole.

Se proprio devo trovare un difetto, alcune piccole parti che sono inserite qui e là che c’entrano poco con la narrazione, per esempio quando si parla del lazzaretto che sorgeva dove poi è nata la Manifattura, parlando di storie di fantasmi: mi è sembrato un raconto nel racconto fine a sé stesso, che penso sia stato inserito per dare quella nota di colore, ma che per me un pochino ha stonato (poteva non essere inserito).

Ma si tratta di minuzie, perché come vi ho detto per me questo libro è meraviglioso!   


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