“Sono nata da destra, in una famiglia di sinistra“: queste parole sono la chiave di lettura de “La piccola conformista“, primo romanzo della giornalista e regista Ingrid Seyman, pubblicato da pochissimo in Italia per I tipi di Sellerio.
Un racconto familiare breve ma denso, che ci accompagna alla scoperta della contro rivoluzione della piccola Esther Dahan, che sogna una famiglia rigorosa e normale deludendo presto mamma Babeth e papà Patrick, che girano nudi per casa e fanno ginnastica in camera loro ogni domenica pomeriggio, e avrebbero senza dubbio preferito una piccola ribelle come figlia.
Con ironia e ritmo, la Seyman scardina luoghi comuni e stereotipi, puntando su di loro una lente di ingrandimento che ne rivela i tratti contraddittori e spesso ridicoli, senza dimenticare nessuno, a destra e sinistra.
Trama de “La piccola conformista”
La storia è raccontata in prima persona dalla piccola Esther, protagonista comica e tagliente, che ci parla della sua vita senza peli sulla lingua.
Esther è una bambina intimamente conservatrice, si autodefinisce «di destra» e si è trovata a crescere in una famiglia di sinistra negli anni Settanta a Marsiglia.
Da irriducibile reazionaria sogna l’ordine, il rispetto delle regole, i «vestitini blu» delle brave ragazze cattoliche, desidera una vita inquadrata dalla normalità. Esther, insomma, vuole una vita normale.
A infrangere il suo sogno la realtà in cui vive. A casa sua, a parte lei, tutti sono eccentrici, girano nudi, si lanciano piatti quando litigano, rifuggono regole e comportamenti conformisti, perbenisti, benpensanti. La madre, atea, anticapitalista e sessantottina, lavora come segretaria al municipio. Il padre è un ebreo francese nato in Algeria, ed esorcizza l’ansia di un prossimo olocausto stilando liste maniacali di compiti da svolgere.
Si aggiungono poi un fratello minore iperattivo e i nonni paterni, che vivono nel ricordo nostalgico del glorioso passato nell’Algeria francese e trascorrono le giornate giocando alla roulette con i ceci, che serviranno poi a cucinare il cuscus domenicale.
L’esistenza di Esther subisce una svolta quando i genitori, imprigionati nelle loro contraddizioni, decidono inspiegabilmente di mandarla in pasto al nemico, ossia in una scuola cattolica nel quartiere più borghese di tutta Marsiglia.
Esther trova forse il suo paradiso personale, osserva e riflette sullo stile di vita dei genitori, dei nonni, delle compagne così diverse da lei, fin quando un segreto custodito a lungo metterà tutto in discussione.
Dall’ironia alla tragedia
E’ vero, la storia fa sorridere, ma quasi senza accorgersene vira verso la tragedia. Anche se, anche in questo caso, l’ironia tagliente non abbandona mai il lettore.
A mettere il dubbio che qualcosa non vada ci pensano prima di tutto i comportamenti del padre, che Esther odia al punto di progettare nei suoi sogni un parricidio: le ansie, le manie, l’ipocondria non sono solo caratteristiche di un personaggio eccentrico, ma rivelano presto qualcosa di più profondo, un disagio psicologico vero.
Poi la madre, che è la vera sessantottina, la vera libertaria che però non riesce a liberarsi di un matrimonio che non funziona. Esther spera più di una volta che Babeth trovi il coraggio di divorziare… ma non accade mai. E qual è la ragione profonda?
La piccola conformista sarà costretta ad addentrasi nelle verità più torbide della sua famiglia, scoprendo anche il lato oscuro del resto del mondo che la circonda, che sia di sinistra o di destra, che sia conformista o no. Fino alla verità e alla consapevolezza finale, riassunti in una frase che non posso ovviamente trascrivere ma che, ancora una volta, rivela tutte le contraddizioni dell’esistenza.
Conclusioni
“La piccola conformista” non appartiene a un genere che leggo abitualmente. Se non altro perché non amo i romanzi che fanno ridere. Ma non appena uscito mi ha catturata perché, al contrario, amo le storie che rivelano le contraddizioni nelle classificazioni in cui siamo abituati a dividere persone e mondo.
Non mi ha affatto deluso. Ho trovato una scrittura diretta, limpida, chiara, perfetta per raccontare i fatti con un certo distacco e altrettanto cinismo. Inoltre, adoro quella che definisco la tipica ironia malinconica francese.
Infine, essere ironici nello scrivere (e nella vita) è una capacità che ammiro moltissimo a cui lavoro pressoché quotidianamente, che invidio dunque molto alla Seyman. L’autrice dimostra che non servono giri di parole per centrare il punto, dal momento che il meno di 190 pagina racconta la vita di 4 e più personaggi. Aspetto che, a onor del vero, trovo positivo e negativo al tempo stesso: quando un romanzo è così breve, non si fa in tempo a entrare nelle vicende che già bisogna uscirci.
Ho molto apprezzato lo sguardo lucido e ironico gettato sia sulla destra (il colonialismo spacciato come assistenza al popolo africano) sia sulla sinistra (il nudismo e l’ autocelebrazione ingiunti alla prole al posto di reale affetto e accudimento.