Mi immagino il cielo, è così grande che, per calmarmi, mi addormento subito. Quando mi sveglio so che Dio è un po’ più piccolo del cielo. Altrimenti pregando ci addormenteremmo continuamente per la paura. Dio parla le lingue straniere? Capisce anche gli stranieri? O forse gli angeli stanno in piccole cabine di vetro e traducono?

A rileggerle alla fine, le prime righe di “Perché il bambino cuoce nella polenta” parlano chiaro di cosa troveremo in quello che, più che un romanzo, definirei un flusso di coscienza: smarrimento, paura, nostalgia, diversità, sensazione di non appartenenza, ma anche tanta dolcezza e tenerezza.

Un flusso di coscienza dicevo, perché quasi senza pause la piccola narratrice e protagonista accompagna il lettore alla scoperta della sua straordinaria vita, dall’infanzia fino all’adolescenza.

Figlia di “un clown, acrobata e bandito” e della donna dai “capelli d’acciaio” che ogni sera, appesa alla cupola del tendone del circo, cammina nell’aria, ci racconta delle strane relazioni familiari, delle usanze mescolate a bizzarre credenze popolari, ma soprattutto della fuga, della ricerca di un posto dove sentirsi a casa, della sensazione di non sentirsi come gli altri, di non essere accettata e voluta.

Poche pagine per un mondo intero, quello variopinto e spettacolare del circo, dietro il cui tendone si nascondono tutte le paure e le nostalgie di una bimba che ha visto già troppo eppure a volte sembra di un’ingenuità disarmante.

Una storia autobiografica

“Qui ogni paese è all’estero. Il circo è sempre all’estero. Ma nella roulotte c’è casa. Apro la porta della roulotte il meno possibile perché la mia casa non evapori”

Non è scritto da nessuna parte che questa sia la biografia della scrittrice, forse non lo è, ma di certo qui è raccontata buona parte della sua vita. Ed è questo che mi ha portato ancor più ad affezionarmi a questa storia.

Aglaja Veteranyi, infatti, trascorse l’infanzia in tournée, insieme ai genitori che erano entrambi artisti circensi e alle cui performance prese parte attivamente sin dai tre anni. Presto fu costretta a fuggire assieme alla famiglia dal regime di Ceausescu, trovando “casa” in Svizzera.

La cosa sorprendente è che a quindici anni, non avendo mai ricevuto un’istruzione, Aglaja era ancora analfabeta. Sorprendente se penso ai romanzi che ci ha lasciato. Imparò da autodidatta il tedesco e, usando un’enciclopedia, apprese velocemente anche a leggere e scrivere. In Svizzera, studiò recitazione e si dedicò anche alla scrittura.

Ed ecco dunque che la sua vita la ritroviamo in “Perché il bambino cuoce nella polenta”.

Chiedo a mia sorella perché il bambino cuoce nella polenta?

“La tristezza fa invecchiare. Io sono più vecchia dei bambini all’estero. In Romania i bambini nascono vecchi, perché sono poveri già nella pancia della mamma e devono ascoltare le preoccupazioni dei genitori”

La piccola protagonista di “Perché il bambino cuoce nella polenta” fuggita con la famiglia dalla Romania per scappare “dal dittatore”, monta e smonta il tendone del circo, vivendo alla giornata.

A volte è stancante, la piccola ha spesso paura che ai suoi genitori accada qualcosa, che sua madre durante l’esibizione cada e si faccia male. Ma almeno lei e i suoi famigliari, all’estero, possono permettersi il lusso di non dover aspettare in fila per fare la spesa e non hanno i denti marci come succede in Romania.

La bambina racconta la vita di tutti i giorni, dei suoi strani parenti: la madre che tutte le sere mette in pratica strani rituali per rendere d’acciaio i suoi capelli, il padre che sogna una carriera a Hollywood e gira bizzarri film amatoriali, la zia che legge il futuro nelle tazze di caffè, parla coi morti e ha una collezione di peluche vinti dai suoi amanti al tiro a segno, e la sorella maggiore, che per non farle pensare a sua madre appesa per i capelli, ogni sera la distrae raccontandole l’antica favola romena del bambino che cuoce nella polenta.

“Domando a mia sorella perché Dio permetta che il bambino cuocia nella polenta. Lei scrolla le spalle. Ma se glielo domando spesso, si lascia intenerire e dice: te lo racconto dopo”

Dietro allo scintillio del circo, si nasconde la vera vita di chi è costretto a spostarsi ogni notte, non può affezionarsi a niente e nessuno, sogna una casa senza ruote e ovunque si sente straniero.

“Non possiamo affezionarci a niente. Io sono abituata a sistemarmi ovunque in modo da trovarmi bene. Devo solo stendere su una sedia un fazzoletto blu, quello è il mare”

Paura e magia

“Sogno che mia madre muore. In eredità mi lascia una scatola con il battito del suo cuore”

Una delle sensazioni più presenti è senza dubbio la paura. Il senso di precarietà, il timore per il futuro e di quello che può accadere alla sua mamma, la paura della morte già in tenera eta. E poi la paura di sentirsi diversa, di non essere accettata, di non essere capita, della solitudine.

Una sensazione che non la lascerà mai, anzi si incrementerà, perché alcune delle sue paure purtroppo si avvereranno e lei sarà costretta a diventare grande in un mondo che non è per nulla dolce.

“Volevo ricordarmi la strada, per poter tornare indietro. Ma più mi sforzavo più tutto diventava simile, come se qualcuno avesse riordinato il paesaggio. Gli alberi avevano messo in valigia le foglie, come mia madre i nostri vestiti”

Tre motivi per leggere “Perché il bambino cuoce nella polenta”

“Qui tutti hanno l’acqua calda e un frigorifero nel cuore. Ma Dio non dorme, con le lacrime dei poveri ci farà il mare. Quando arriveremo in cielo ci faremo il bagno. E quando usciremo avremo la pelle d’oro a 24 carati.

Aglaya Veteranyi si suicidò all’eta di 40 anni. Penso che attraverso l’arte e la scrittura avesse tentato di esorcizzare la paura per il futuro, la sua incredibile sensibilità e dolcezza, ma che tutto questo a un certo punto abbia preso il sopravvento.

Letto sotto questa luce, “Perché il bambino cuoce nella polenta” diventa una straordinaria testimonianza di cosa significhi essere poveri, trovarsi sotto una dittatura, dover lasciare la propria casa e inseguire per tutta la vita il sogno di felicità in luoghi che nonostante tutto non senti mai veramente tuoi.

In questo momento credo sia ancora più importante.

Ma al di la di questo, consiglierei questo romanzo per tre ragioni fondamentali.

  1. Prima di tutto perché é brevissimo, si legge in un pomeriggio, ma in poche pagine riesce a coinvolgere il lettore lasciando ben impressa una sensazione parallela di nostalgia e magia.
  2. In secondo luogo per la scrittura, asciutta ma incredibilmente intensa, a tratti un flusso di coscienza, a tratti poesia: vi imbatterete in pagine con una sola frase, una domanda, una riflessione, che vi lasceranno di stucco.
  3. Terzo punto: ho passato tutto il tempo della lettura a sottolineare e appuntare frasi, spunti di riflessione e parole che mi sono rimaste dentro.

“La gente cerca la felicità come il nostro sangue cerca il cuore. Se il sangue non va più a cuore l’uomo si secca, dice mio papà. L’estero è il cuore, noi il sangue”.


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