“Oh, se fosse dato all’uomo di conoscere la fine di questo giorno che incombe”

WILLIAM SHAKESPEARE

Brividi sulla schiena, che non riesco a scrollarmi: ecco la sensazione che mi ha dato e mi dà ancora, dopo giorni, “Questo giorno che incombe” di Antonella Lattanzi. Che libro, che storia, che finale, che prosa! Un romanzo scioccante davvero, una scrittrice da non dimenticare.

“Questo giorno che incombe”, trama

Non pensavo minimamente di trovarmi a leggere un libro del genere. E a onor del vero, se avessi saputo, non lo avrei letto, perché “Questo giorno che incombe” è davvero un romanzo che sbatte sul cuore, bisogna essere preparati. E io non ero preparata.

Ma per fortuna l’ho letto perché questo è senza dubbio uno stupendo romanzo, uno di quelli che leggi con le palpitazioni e la bocca aperta, fino alla fine, della storia e del mondo come la protagonista, Francesca, l’aveva sempre considerato.

Una bella vita, una bella famiglia, un marito che ama, Massimo, e due figlie piccole, Angela, di 5 anni, ed Emma, poco meno di 1. Francesca è felice, tutto è perfetto quando decidono di trasferirsi da Milano a Giardino e Roma, un quartiere a metà strada tra la capitale e il mare. Il marito ha ricevuto una proposta di lavoro, lei ha lasciato il suo, in cui era piuttosto brava, per lui, per la sua famiglia e per dedicarsi alla stesura di un libro illustrato per bambini.

E’ tutto deciso: avrà tempo per le bambine, per la casa, per la sua famiglia, e disegnerà. Sarà tutto perfetto.

Eppure, appena mettono piede nel condominio dallo scintillante cancello rosso, Francesca ha una sensazione strana, si taglia, le sembra di vedere del sangue. Ma no, è solo un’ombra. Allora varca l’ingresso, accolta dai tanti bimbi che giocano in cortile spensierati, dalle case perfette, senza tende, dai vicini gentili che li accolgono con visite e doni.

E poi… poi la nuova vita inizia, ma non come Francesca se l’era immaginata.

Il marito lavora sempre fino a tardi, lei resta a casa tutto il giorno con le bambine, non riesce a disegnare, non riesce a pensare, inizia a soffrire di mal di testa, ad avere paranoie, vuoti di memoria, a parlare con la casa; i vicini si fanno sempre più invadenti, inquietanti, accadono fatti strani, ma Francesca non è lucida e non sa più distinguere cosa accade davvero e cosa sia frutto della sua ansia.

Finché, un giorno, nel cortile, si sente un urlo: è scomparsa una bambina.

Da quel momento inizia per Francesca un viaggio sulle montagne russe, che sono quelle dei fatti che accadono realmente ma che non anche distorti dalla sua mente, dalle emozioni che prova, dall’amore per Massimo che inizia a non conoscere più, dal ruolo di madre che non è idilliaco come ha sempre pensato. E poi ci sono i vicini, invadenti, onnipresenti, pronti a compattarsi per difendere “uno di loro” ma anche per incutere timore in chi sono convinti essere il mostro.

Le madri sono felici di essere madri, e tu?

La mente è una montagna russa che ti porta dritto al cielo e giù nel buio quando vuole, una montagna russa posseduta da una volontà tutta sua che si muove, agisce e respira da sé, e vive.

Francesca ha sempre pensato di essere una brava madre. Ma cosa significa essere “una brava madre”? Quando Massimo inizia a vivere per il lavoro, si trova sola a gestire casa e figlie, non ha più tempo per sé, inizia a sentirsi vecchia e brutta. E nella sua mente tutto inizia a perdere lucidità.

Le madri sono felici di essere madri. E tu?” si legge nelle prime pagine di “Questo giorno che incombe“. Perché Francesca ama le sue figlie, ma amare le proprie figlie cosa ha a che fare con l’essere una buona o una cattiva madre? E chi stabilisce chi è l’una e chi è l’altra? Nel condominio, Francesca, si sente giudicata, si sente gli occhi di tutti puntati addosso: tutti sembrano sapere come è fatta una brava mamma e lei non corrisponde a quello stereotipo, perché si sente sola, ha bisogno di tempo per se stessa e vuole realizzarsi, sentirsi bella, felice, viva.

La sua frustrazione esplode quando la piccola Teresa, amica della sua Angela, scompare dal Giardino di Roma. Tutto si trasforma in un incubo, il perfetto condominio viene invaso da curiosi, giornalisti, telecamere. Cercano tutti il mostro. E non lo cerca solo la polizia. Ma anche i condomini. Decisi a unirsi come una grande testuggine e a eliminare chi è per loro il cattivo. E Massimo? Quel marito che tanto conosceva, fa parte di loro? Perche a Francesca sembra sempre più lontano e diverso. Un estraneo.

Come nasce un mostro

C’erano un mostro lì fuori e un mostro lì dentro, in quella casa. No, non in quella casa, dentro di lei. Dentro di lei era cresciuto un mostro e adesso Francesca non aveva scampo.

Francesca inizia ad avere paura di tutto, anche di sé stessa. Teme i suoi pensieri, teme le sue pulsioni. Teme quello che pensa la gente, ha paura per le sue figlie. Il suo delirio è onnipresente nel romanzo, la scrittura della Lattanzi ci trascina nella mente di questa donna che non ha tregua, pensa sempre, pensa di giorno, di notte, e delira.

E la Lattanzi non trascina solo nel delirio di Francesca, ma in quello collettivo dei condomini. La scomparsa di Teresa (ispirata a un fatto di cronaca nera accaduto davvero, nel condominio in cui viveva l’autrice da bambina) colpisce tutti, anche i più piccoli, che ascoltando le parole dei grandi, si lasciano influenzare dal clima angosciante che si respira tra le mura domestiche.

Cominciano a fornire loro versioni, a raccontare ciò che accaduto, molte volte riportando realtà diverse, si contraddicono. Si convincono poi della veridicità di ciò che hanno detto: deve per forza essere andata così.

Un genitore fraintende una parola di un bambino. Si preoccupa. Si convince che ci sia qualcosa di più. A quel punto anche il bambino si fomenta. Si convince che sia davvero successo qualcosa. Non sta mentendo: ne è sicuro. Una volta convinto uno dei bambini, è più facile che anche gli altri bambini si convincano. Nasce il mostro”, si legge nel romanzo.

Ma il mostro è coloro che tutti credono? Che hanno individuato perché diverso? Il mostro… è davvero quello che sembra mostruoso?

Non come una madre, come un ladro

questo giorno che incombe

Non entrò come entrano le madri. Entrò come entrano i ladri o quelli che si sono persi.

C’e un modo in cui le madri devono agire? Un modo perfetto in cui si devono comportare? La Lattanzi ci conduce a esplorare cosa significa essere madri, e lo fa con un personaggio che non si fa amare ma sia ama dall’inizio alla fine.

Francesca è fastidiosa quando si lamenta continuamente ma non fa nulla per cambiare, quando non dice al marito quello che prova, quando vorrebbe dire una cosa e ne dice un’altra, quando mente; è cattiva quando stringe il polso della figlia che le ha macchiato di latte le tavole per il libro, è avventata quando lascia le sue figlie a un ragazzino per andare a parlare con qualcuno per il quale ha preso una cotta adolescenziale; è sconsiderata quando molla tutto per correre verso quello che desidera. Francesca è pazza, è vero, di vita.

Francesca rappresenta le donne che sanno che essere madri non è come ci vogliono far credere. Francesca si odia e si ama perché sembra un pochino di vederci allo specchio.

Dentro la storia di Francesca, c’è anche la storia di cosa significa essere diverso all’interno di una piccola comunità chiusa, che predica l’accoglienza e poi distrugge chi non è come vorrebbe.

Il dolore della solitudine, il chiacchiericcio, le dicerie… le vite degli altri: “Questo giorno che incombe” ha lasciato un impressione in me, un marchio, una consapevolezza a tratti dolorosa.

“Che ne pensi, casa?”
“Penso che ti meriti un posto tutto per te, Francesca. E se il tuo posto è questo, non te lo dimenticare più.”

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