Lo confesso, quando ho iniziato “La caduta del sole di ferro” di Michel Bussi (Edizioni e/o) stavo per abbandonare la lettura dopo poche pagine. Per fortuna, sono andata avanti, perché alla fine ho scoperto una piccola perla dall’altissimo contenuto simbolico.
Confesso anche di non aver mai letto nient’altro di questo autore, del quale ho sentito molto parlare soprattutto per “Ninfee nere” che ho già acquistato e la cui letture recupererò molto presto.
La caduta del sole di ferro: il futuro è dei nostri figli
Su come potrebbe essere il futuro si fanno le più grandi riflessioni. Film e libri su ipotetiche forme di futuro si sprecano e, specie in questo momento storico, colpiti da un’emergenza sanitaria che forse ci avevano annunciato ma nessuno mai pensava così vicina e possibile (dalla serie, tanto a me non capiterà), pensare a che tipo di mondo ci aspetta dopo è all’ordine del giorno.
“La caduta del sole di ferro” di Michel Bussi disegna un futuro in cui non esistono adulti. E penso che questa sia la prima riflessione a cui ci spinge l’autore: indipendentemente da se ci saranno adulti, il futuro è dei bambini, dei nostri figli… è il caso dunque di averne cura?
E’ il caso di ripensare a ciò che stiamo insegnando loro? Di rivederne gli insegnamenti e di tornare sui nostri passi per realizzare un mondo migliore per tutti?
Un futuro vicino e possibile?
Per quanto si tratti di un romanzo distopico, le situazioni sono riconoscibili e verosimili. La storia è ambientata a Parigi, proprio come la conosciamo noi, se non per il fatto di essere deserta (e qui, mi sembra di trovare il primo collegamento con la situazione che stiamo vivendo e lo svuotamento delle città a causa del lockdown).
Tutti gli adulti, come dicevo sono scomparsi e quelli che sembrano essere gli unici sopravvissuti sono due gruppi di bambini, tutti di 12 anni, tutti nati lo stesso giorno. I due gruppo vivono in maniera diametralmente opposta, uno nella Tour Eiffel, l’altro nel Louvre. Conoscono l’esistenza gli uni degli altri, ma si tengono a distanza e convivono in una sorta di tregua forzata.
Nel momento in cui un avvelenamento dell’ambiente comincia a sterminare uccelli e piccoli mammiferi (ed ecco il secondo riferimento all’attualità che non serve spieghi) i due gruppi iniziano a incolparsi l’un l’altro e a pensare che l’unico modo per risolvere la questione sia dare origine a una guerra.
Una distopia che mette al centro i bambini, che parla di differenze e di paura di chi non è come noi, di malintesi, di guerra, di tematiche ambientali, di amore, amicizia, conoscenza e persino di arte.
La storia è rivolta ai piccoli lettori, scritta in maniera semplice, ma è godibilissima anche dagli adulti, che anzi, sicuramente, possono trarre spunti di riflessione ben più suggestivi, come i molti riferimenti alla situazione attuale.
Trama de “La caduta del sole di ferro”: quello strano avvelenamento…
La storia, dicevo, si svolge in Francia, in una Parigi deserta seppur simile a come la conosciamo. Una catastrofe, di cui non si sanno ragioni ed entità, ha ucciso tutti gli adulti e quasi tutti gli esseri umani: unici superstiti sembrano essere due gruppi di ragazzini di dodici anni divisi in due fazioni, “quelli del Tepee” (che vivono nella Tour Eiffel) e “quelli del castello” (che vivono nel Louvre).
I primi sono definiti “selvaggi”, cacciano per procurarsi cibo, non hanno elettricità e riscaldamento, e non sono istruiti; alcuni di loro sanno leggere, ma si contano sulla dita di una mano, la maggior parte di loro sono analfabeti e non conoscono nulla del passato e della vita sulla terra prima di loro.
Quelli del castello, invece, non mangiano carne, coltivano, e sono colti: frequentano lezioni quotidiane e vivono nel Louvre, dove conoscono anche riscaldamento ed elettricità grazie a quello che chiamano “sole di ferro”.
A differenza dei primi, fin dalla loro nascita, grazie a lezioni impartite da Maria Luna, una donna che parla attraverso un monitor con video registrati prima di morire, si sono ritrovati inseriti in un sistema di apprendimento che ha consentito loro di sviluppare un’organizzazione di vita molto strutturata, con una regina, un consigliere e un Consiglio formato da rappresentanti dei tre gruppi in cui sono divisi, ovvero soldati, scimmie e scienziati.
I due gruppi, pur sapendo dell’esistenza reciproca, non sono mai venuti in contatto, se non durante la “Serata del Santuario” in cui festeggiano nello stesso luogo, (ovvero a Notre Dame) rispettandosi a vicenda, la loro nascita: sono infatti nati tutti nello stesso giorno.
A cambiare quello stato di tregua prolungata basato sulla reciproca diffidenza interviene uno strano avvelenamento dell’ambiente che comincia a sterminare uccelli e piccoli mammiferi.
I ragazzi del tepee sono convinti che a diffondere il veleno siano quelli del castello, per privarli di cibo e dunque ucciderli. Quelli del castello, a loro volta, vogliono dominare i “selvaggi” e istruirli.
Conoscere per non avere paura
Zyzo, protagonista di questa storia, viene inviato dal capo del Tepee a spiare i ragazzi del castello, dove, per salvare la regina Alixe da una statua che rischia di caderle addosso, verrà scoperto e fatto prigioniero.
Ma proprio per questo atto di coraggio, avrà la possibilità di vivere accanto alla regina, frequentare i corsi e vivere la normale vita nel castello. E qui, mi sembra di trovare un nuovo spunto di riflessione interessante: conoscere è fondamentale per non avere paura di chi è diverso da noi.
E infatti Zyzo e Alixe, insieme a tantissimi altri personaggi, ci conducono alla scoperta di un mondo in cui dominano paure e pregiudizi, che insegna che per andare avanti è necessario superare differenze e diffidenze, paure di chi è diverso, e soprattuto che l’unione fa sempre la forza, anche di fronte a un disastro di portata mondiale.
Il romanzo è autoconclusivo, anche se essendo parte di una saga non finisce: lascia aperti tutta una serie di interrogativi che fanno venire voglia di leggere tutti gli altri.
Una storia per piccoli e grandi
Michel Bussi ha creato una storia in grado di insegnare molto ai giovani lettori: il potere della collaborazione, la certezza che solo ciò che non si conosce può far paura, la capacità di adattamento che risiede dentro ognuno di noi e la cura che devono avere del mondo che li circonda.
Ho amato l’ambientazione perché, anche se siamo in un futuro post apocalittico, tutto è perfettamente riconoscibile e questo riesce a far sentire il lettore parte dell’azione.
Mi sono piaciuti molto i richiami all’attualità, per quanto non così urlati: l’idea di un virus che minaccia l’arrivo di una guerra, il fatto che ci siano personaggi nei rispettivi gruppi che cavalcano la paura per incentivare l’odio, i pregiudizi che aumentano la paura dell’altro.
E, cosa che mi ha molto affascinato, è stata l’idea di inserire insegnamenti tratti dai quadri che popolano il Louvre e dunque dall’arte. Alla fine, sarà anche l’arte a decretare in qualche modo il finale della guerra e della storia.
Il sole di ferro e la sua fine: un futuro che trae spunto dal passato?
Onestamente, non amo i distopici, soprattuto le storie ambientate in un futuro apocalittico. Ma, come ho abbondantemente spiegato, la storia narrata da Bussi non è così surreale. Inoltre ho apprezzato l’idea di salvare solo i bambini, che saranno poi deputati alla ricostruzione di un nuovo mondo: come detto, che gli adulti vivano o vengano sterminati davvero, il mondo nuovo spetta comunque ai bambini… questo concetto mi è piaciuto molto.
Mi ha conquistato anche un’altra idea: contemporaneamente all’avvelenamento che minaccia il mondo dei ragazzi del tepee, a un certo punto della storia si spegne il sole di ferro (del resto, il titolo si ispira proprio a questo fatto) che tiene in vita l’intera organizzazione quotidiana nel Louvre.
Questo costringerà i ragazzi del castello a dover fare a meno di riscaldamento e corrente, dunque a dover tornare in un certo senso indietro, riscoprendo il ciclo della natura e come sopravvivere grazie ad esso.
Ho trovato molto interessante il concetto per cui nel futuro sia necessario dover tornare al passato per andare avanti. E l’idea che, per quando il passato sia passato, non si vive senza la sua memoria.
La caduta del sole di ferro: consigliato!
Insomma, consiglio questo libro, per il messaggio che vuole lanciare sia per la semplicità con cui l’autore è riuscito a esprimere concetti esistenziali importantissimi. Lo consiglio agli adulti e lo consiglio ai genitori per i loro figli: un avventura avvincente che può insegnare loro davvero tanto.
E voi, amate il genere distopico? O preferite il fantasy come me? Se preferite quest’ultimo, vi consiglio la saga di Miss Peregrine (qui la recensione). Letta quest’anno, l’ho adorata.
Buona settimana amici!