“Randagi” di Marco Amerighi (Bollati Boringhieri) è stata per me una lettura in crescita con presa di coscienza finale.
C’è stato, lo ammetto, un momento in cui mi sono domandata davvero se valesse la pena andare avanti e dove l’autore volesse andare a parare, ma il tempo di concentrarmi sulla narrazione, più che sulla storia, ha dissipato i miei dubbi: questo è un bellissimo romanzo ed è il romanzo della mia generazione.
Un romanzo della MIA generazione
Tutto è stato chiaro alla fine.
E’ stato come accorgersi che Pietro Benati (un protagonista che è più persona che personaggio) poteva essere come un compagno di scuola, l’amico che incontravo in cortile o alle lezioni di chitarra del pomeriggio. Più andavo avanti con la lettura, più mi rendevo conto che “Randagi” parlava proprio di me, della mia generazione smarrita.
Amerighi, infatti, racconta di chi è nato negli anni Ottanta, quel periodo che sembrava dover godere della crescita degli anni precedenti e invece ha finito per conservare in sé un destino già scritto, quello del non sentirsi mai al centro, mai in bolla, e di correre sempre dietro qualcosa e/o qualcuno, per cercare la propria via, la propria identità.
Venuto dopo una generazione che è riuscita in maniera molto più semplice a trovare una strada, chi è nato tra gli anni Ottanta e Novanta non ha potuto che sentirsi confuso di fronte a una società profondamente cambiata in tutto, nei valori e nella perdita quasi totale di punti di riferimento. Una società che, tra le altre cose, imponeva la ricerca di successo come metro per misurare il valore di ogni esistenza, portando a inevitabili delusioni e diatribe esistenziali sull’essere o il non essere.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Amerighi ha detto: “Siamo cresciuti con l’obiettivo del successo e del benessere, ma in fondo alla cavalcata non ci aspetta nessun premio. Per imparare la vera felicità abbiamo dovuto perderci”.
“Randagi” è la storia semplice di una generazione
Ci ho messo diverso tempo a elaborare la mia recensione di “Randagi“. Presumo per la necessità di assorbirlo e comprenderlo davvero.
A distanza di tempo, le immagini più nitide che ho in mente sono quelle relative allo scambio di mail tra Pietro e il fratello Tommaso, in cui nel raccontarsi le rispettive vite parlano anche di sensazioni e sentimenti, ponendosi domande esistenziali. In questo scambio si rivela in tutto e per tutto lo smarrimento di entrambi, la ricerca ossessiva di una strada da seguire e la consapevolezza di essere entrambi randagi, nel senso di “persi”.
Non so se “Randagi” possa essere definito un romanzo di formazione, ma di certo è un romanzo di crescita e consapevolezza. La narrazione è divisa in tre parti e in ognuna troviamo un Pietro differente, che non compie viaggi avventurosi, non è protagonista di parabole pazzesche, ma semplicemente cresce vivendo.
Per questo in principio, mi sono permessa di affermare che ho sentito Pietro come un amico, poco personaggio e molto più persona, come se la sua storia la conoscessi già, perché raccontatami da lui in persona.
Trama di “Randagi”
Ma veniamo alla trama.
Il romanzo è ambientato fra Pisa e Madrid e ha come fulcro le vicende della famiglia Benati, su cui, secondo la madre di Pietro, gravita una drammatica maledizione: prima o poi tutti i Benati maschi tagliano la corda, scompaiono.
Il primo era stato il nonno Furio, detto il Maggiore, disperso durante la guerra d’Etiopia e rimpatriato l’anno dopo con disonore. Il secondo era stato il padre Berto, detto il Mutilo, truffatore e scommettitore incallito, sparito per mesi per poi tornare senza il mignolo.
Quando uno scandalo travolge la famiglia, Pietro si convince che il suo turno per sparire sia alle porte. Invece a svanire nel nulla è suo fratello maggiore Tommaso, promessa del calcio, genio della matematica e unico punto di riferimento del ragazzo, a cui invece non accade un bel niente.
Pietro, infatti, a differenza del fratello T., è goffo e maldestro, aspirante musicista, sembra portato a raccogliere solo delusioni.
Dilaniato da dubbi e paure, non sa che strada prendere e allora non ne prende nemmeno una. Passerebbe la sua vita in casa, chiuso in camera, per evitare ogni possibile delusione, specie dopo lo scandalo che ha colpito la sua famiglia. Ma quel fratello talentuoso lo richiama all’ordine, spingendolo alla vita, iscrivendolo al programma Erasmus a Madrid.
In questo nuova vita Pietro incontra persone adulte, che non fanno parte della bolla della sua famiglia, che hanno a loro volta una storia familiare e si portano dietro profonde ferite che ne sono derivate. In particolare, due persone, ancora più confuse di lui: Dora, strana e sfuggente ragazza italo-spagnola, appassionata di film horror e impiegata in una cineteca, che si porta appresso la memoria di un dolore immenso che la allontana dal mondo, e Laurent, ex surfista ora gigolò, appassionato di nuotate notturne e alcool, con cui Pietro si troverà a dividere l’affitto.
E se a tutto questo, alla delusione paterna e alle ipocondrie della madre, si aggiunge la tragedia… viene fuori un Pietro ancora nuovo, che schiva il dolore, ma rabbiosamente procede nel suo tentativo di stare al mondo, come fa quotidianamente ciascuno di noi.
La penna preziosa di Amerighi
Cosa dire, dopo tutto questo? Solo alcune cose per cui penso che questo romanzo vada letto, assaporandone la lentezza.
Prima di tutto, meravigliosa la scrittura di Amerighi, che riesce a rendere Pietro e la sua storia incredibilmente vicine al lettore e familiari.
Poi, la straordinarietà con cui viene raccontato l’ordinario. Non c’è nulla di eccezionale nella storia di Pietro o degli altri, eppure le pagine di questo romanzo la mettono nero su bianco, per rappresentare con semplicità, ma con la perfezione della penna di Amerighi, il senso e la storia di una generazione che si è presa come eredità un mondo precario e incerto, in cui non può fare altro che sopravvivere con quello è e che ha.
In ultimo, come sottofondo di questa storia che potrebbe essere quella di ognuno di noi, il tempo che scorre e la storia che l’attraversa…
Nella settina del Premio Stega
A mio avviso, Amerighi merita tutto e per tutto di essere nella settina del Premio Strega, che mi sembra premi le storie, sì, ma forse soprattutto le penne preziose come la sua.
Dei finalisti, ho amato “Nova” di Fabio Bacà e apprezzato moltissimo “Nina sull’argine” di Veronica Galletta.
Tutti e tre sono davvero alta letteratura. Da leggere!