I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni è la lettura che più mi ha sorpresa fino ad ora quest’anno.

Sorpresa perché non mi aspettavo un libro tanto intenso e feroce, bello ed elegante al tempo stesso. E sorpresa perché pur vedendolo in libreria da un po’, l’ho ignorato per diverso tempo, non ritenendolo nelle mie corde.

E invece, mi ritengo fortunata ad averlo letto, quasi per caso, perché è stato un colpo al cuore. “I miei stupidi intenti” è un libro unico, che resta, una storia che fa pensare, soffrire, ma che, per quanto abbia per protagonista la consapevolezza della morte, dello scorrere del tempo e dell’evolversi inesorabile delle stagioni, conferma la straordinarietà della vita che viviamo e del mondo che abitiamo.

E poi, c’è la sorpresa per un autore solo 25enne, che scrive con una penna matura e consapevole: per questo sono davvero felice che si sia aggiudicato il Premio Campiello.

Infine, sorpresa per quell’invidia buona che da scrittrice viene, quando pensi che scrivere così è davvero un super potere.

I nostri stupidi intenti

Rivedevo la mia vita fino a quel punto e contavo quante volte mi era balenato in testa di poter morire. Nessuna. La morte aveva sempre toccato chi mi circondava, mai me; nel mio esistere la escludevo a priori, abbandonata dietro l’evolversi dei miei giorni, che credevo avrebbero continuato a scambiarsi senza orizzonti. Fui colpito da una forza invisibile. Il peso dell’aria, della terra sotto le zampe, del cielo, del bosco, di ogni fiume mi schiacciò sotto di sé. Mi spezzai a metà. “Non ci credo” biascicai. “Non voglio”.

Cosa ci allontana dalle nostre origini animali? Cosa ci rende umani?

Lo racconta Zannoni ne “I miei stupidi intenti“: la consapevolezza dell’essere finiti, di avere un tempo limitato a disposizione, e la ricerca, a tratti disperata, di qualcosa che ci renda eterni, lo stupido intento di scappare dall’inevitabile.

Come scrisse Jorge Luis Borges: “Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali”.

La stranezza e l’unicità di questo romanzo stanno nella scelta di utilizzare protagonisti animali, per descrivere una consapevolezza umana, seguendo la trasformazione di Archy, una faina, da animale a non più animale, attraverso, appunto, la presa di consapevolezza della morte, dell’amore, della vita e di Dio.

Trama “I miei stupidi intenti”

Non vivevo un momento così sereno da quando avevo ucciso la gallina. Senza dubbi o domande. Il mio presente era tornato ad essere il mio mondo per qualche attimo e, fuori da quello, il nulla. Ero un animale. Ero felice“.

Archy è una faina e la voce narrante del romanzo. Orfano di padre, ucciso mentre rubava le galline in un pollaio, affronta subito la crudeltà della vita animale, in cui vige una sola regola di base: solo chi è forte e spietato, può cacciare e procurarsi da vivere potrà sopravvivere.

La legge della natura segna subito una divisione tra Archy e tutti i suoi fratelli: ci sono Leroy e Louise, forti e sani, e poi Otis e Cara, il primo troppo piccolo per sopravvivere, la seconda cieca da un occhio. E c’è la madre, spietata, dura, senza nessuna traccia d’amore, solo l’istinto a nutrire coloro che ritiene potranno sopravvivere.

Archy sembra avere fin da subito una strana consapevolezza che non lo colloca né da una parte né dall’altra: non è malato, non è forte, non è né di qua né di là, anche se vorrebbe essere come Leory, che ha imparato subito a cacciare.

Ma il giorno in cui prova a rubare uova da un nido cade e rimane zoppo: incapace di procurarsi da vivere da sé, diventa un peso per la madre, che decide di venderlo in cambio di una gallina e mezzo a Solomon, una vecchia volpe usuraia che vive in cima alla collina. 

Ed è qui che la vita di Archy cambia per sempre, nella consapevolezza della morte e dell’amore, e nella gioia e nel dolore che provoca questo sapere.

La consapevolezza che ci rende umani

Evidentemente questi pensieri fatti di ma e di se nascevano soltanto nella mia testa. Non ho mai incontrato altri animali con questo fastidioso difetto. Ha a che fare con il prima e il dopo. Ha a che fare con Dio

Solomon non è una volpe qualunque: è crudele e cattiva, segue la legge della natura, ma in lui c’è qualcosa che lo avvicina all’uomo, non solo perché è custode di segreti umani, ma anche perché sa leggere, sa scrivere e vive la nostalgia, i rimpianti, i ricordi, è vecchio e teme la morte.

Quando Archy la incontra, la somiglianza tra i due risulta evidente. Nessuno dei due sta più vivendo una vita da animale: la faina perché è zoppa, la volpe perché vecchia. E cosa resta allora? Sopravvivere non pasta più, bisogna iniziare a guardare al mondo in maniera differente.

Solomon possiede già questo sguardo e vedendo in Archy una differenza dagli altri animali, decide di passargli le sue conoscenze, che vanno di pari passo con maggiori consapevolezze: e arriva allora la consapevolezza del tempo che finirà, la ricerca di riparo nella fede e nella scrittura, entrambi capaci di placare il dolore della fine e dare l’illusione dell’eternità.

I miei stupidi intenti

Questo è il mio ultimo stupido intento. Scappare, come tutti, dall’inevitabile

Che meraviglia questo libro.

E’ una grande favola sulla vita e sulle stagioni, una favola crudele, ma vera. Un grande metafora sulla vita, che spinge a diverse riflessioni. E la cosa stupefacente è che sebbene i protagonisti siano animali, questa storia parla a noi esseri umani e , appunto, dei nostri stupidissimi intenti.

E poi, che scrittura: parlare di violenza con una scrittura gentile sembra un ossimoro, ma Zannoni ci riesce, riuscendo anche a farci immedesimare con il protagonista, che è una faina, ma potrebbe essere un essere umano e potrebbe essere ciascuno di noi.

E alla fine, meraviglia, tramite la storia di un animale troviamo il modo di riflettere su cosa significhi essere umani.

Premio Campiello a “I miei stupidi intenti”

Quest’anno, ho fatto un tifo esagerato per questo romanzo e per “Nova” di Fabio Bacà. Sono felice che Zannoni si sia aggiudicato il premio, per me se lo meritava alla grande, un po’ delusa dal posizionamento di Bacà, che alla fine è arrivato quarto.

Ma sono felice soprattutto di aver scoperto questi due grandi autori, davvero perle rare.


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