“Acconsento a che si instauri il delitto di sognare”
Questa frase mi martella ancora in tesata, dopo settimane dalla fine della lettura di “Ninfee nere” di Michel Bussi. Non è una frase dell’autore, bensì i versi di una poesia di Loius Aragon, citati nel romanzo:
“Acconsento a che si instauri il delitto di sognare
Se sogno, sogno ciò che mi viene vietato
Mi dichiarerò colpevole. Mi piace avere torto
Agli occhi della ragione il sogno è un bandito“
Mi sembra cosi perfetta, meravigliosa e agghiacciante… perché sebbene non possa dire altro per non rischiare di sviare nulla (dal momento che si tratta di un giallo) in “Ninfee nere” l’assassino uccide niente poco di meno che i sogni di qualcuno.
Stupendo questo giallo di Bussi
Non so proprio perché ho tenuto questo romanzo in attesa sulla mia libreria per cosi tanto tempo prima di leggerlo. E anche la lettura è stata quasi casuale”: dopo aver letto “The inheritance game”, “La casa sul mare celeste” e “In una scala da 1 a 10” volevo allontanarmi un pochino dal genere YA e Fantasy. Ci sono andata giù dura, scegliendo questo e un altro romanzo (“Faremo Foresta” di Ilaria Bernardini, di cui vi parlo presto) che con questa faccenda dei sentimenti degli adulti ci vanno giù pesantini (nel senso buono del termine eh).
Ad ogni modo, questo giallo di Bussi è bellissimo. So che diro una cosa strana, ma a me i gialli troppo veloci, concitati, adrenalinici piacciono fino a un certo punto: se accadono troppe cose, troppo velocemente, mi perdo e alcune poi non me le ricordo (sarà l’età?!); il romanzo di Bussi va veloce al punto giusto, dando al lettore il tempo di capire quello che sta accadendo e di sovrapporre i pezzi della storia, originalissima. E “sovrapporre” è secondo me la parola più giusta… (e non posso dire di più, per ovvie ragioni).
Trama di “Ninfee nere”
La storia ha come palcoscenico Giverny in Normandia, il villaggio dove ha vissuto e dipinto il grande pittore impressionista Claude Monet. Tutto inizia con un omicidio: una mattina di maggio, sulle rive di un ruscello, viene ritrovato il corpo di Jérom Morval, un famoso oftalmologo, conosciuto per la sua passione per l’arte ma soprattutto per una spiccata tendenza al tradimento.
Sul suo omicidio indagano l’ispettore Sylvio Bénavides e il suo superiore Laurenç Sérénac, che, nella tasca della giacca, trovano una cartolina del famoso quadro “Ninfee nere”, su cui si legge un messaggio di auguri per l’11esimo compleanno di qualcuno.
L’indagine conduce a contatto con tre donne: la piccola Fanette di 11 anni con una grande passione per la pittura, la bellissima Stéphanie, seducente maestra del villaggio, e una vecchia acida che spia i segreti dei suoi concittadini dalla finestra in cima a un mulino, che conosce tutto e racconta, in prima persona, gli eventi che si svolgono nell’arco di tredici giorni.
“Tre donne vivevano in un paesino.
La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista.
Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny.
La prima abitava in un grande mulino in riva a un ruscello, sul chemin du Roy; la seconda in una mansarda sopra la scuola, in rue Blanche-Hoschedé-Monet; la terza con la madre in una casetta di rue du Château-d’Eau dai muri scrostati.
Neanche avevano la stessa età. Proprio per niente. La prima aveva più di ottant’anni ed era vedova. O quasi. La seconda ne aveva trentasei e non aveva mai tradito il marito. Per il momento. La terza stava per compierne undici e tutti i ragazzi della scuola erano innamorati di lei. La prima si vestiva sempre di nero, la seconda si truccava per l’amante, la terza si faceva le trecce perché svolazzassero al vento.”
Nel romanzo, le storie delle tre donne si dipanano quasi slegate tra loro, ma ecco che poi… tutto combacia, con una maestria da grande scrittore.
Sappiate allora una cosa, una sola: in tutta questa serie di eventi non esiste la minima coincidenza. Niente è lasciato al caso in quest’affare, al contrario. Ogni elemento è al posto giusto nel momento giusto. Ogni pezzo di quest’ingranaggio criminale è stato sapientemente disposto, e credetemi, lo giuro sulla tomba di mio marito, niente potrà fermarlo.
“Ninfee nere” è un noir con una costruzione narrativa intricata e misteriosa: credetemi, fino alla fine tentare di carpire chi sia il colpevole è assolutamente impossibile.
Una storia che si sviluppa a piccoli pezzi, alternando elementi dal presente a elementi del passato, arrivando ad un epilogo in cui le sfere temporali si mescolano incredibilmente. E lo fanno cosi perfettamente che non posso che dire che sia tutto opera di un genio: ci credo che Bussi sia il giallista francese più tradotto.
Il romanzo di Bussi incolla davvero alle pagine, tutto sembra essere al posto giusto, come in un quadro di Monet, la cui presenza nella storia rende ogni cosa più affascinante.
Guardi questo parco, ispettore, le rose, le serre, il laghetto. Le rivelerò un altro segreto: Giverny è una trappola! Certo, una scenografia meravigliosa. Chi si sognerebbe di andare a vivere altrove? Un paese così bello… ma le dico una cosa: è una scenografia cristallizzata, pietrificata. C’è il divieto di decorare qualsiasi casa in maniera diversa, di ridipingere un muro, di cogliere un fiore. Dieci leggi lo proibiscono. Qua viviamo in un quadro, siamo murati vivi!
La perfezione di “Ninfee nere”
Di Bussi ora vorrei leggere tutto, ma temo di essere delusa. Mi è piaciuta molto anche la sua “deviazione” dispotica: “La caduta del sole di ferro” di cui aspetto il secondo volume mi era piaciuta tanto. Non mi aspettavo tanta bravura e originalità. Perché, non l’ho specificato, ma in “Ninfee nere” c’e un altro aspetto da non sottovalutare: la scrittura perfetta. Alla fine, sebbene la trama, il movente ecc. siano importanti in un giallo, a fare davvero la differenza è il modo in cui una storia viene narrata.
Nelle varie recensioni lette, qualcuno ha scritto che il finale l’ha deluso. Forse, ma la storia? Se ci penso, mi sento avvita da una sensazione di bellezza e smarrimento al tempo stesso… Fin dall’incipit ci si trova prigionieri di un quadro, capace di cambiare forma in continuazione.
La cosa bellissima è che se ci penso non penso solo a un giallo, ma a qualcosa di ben più profondo: in “Ninfee nere” Bussi ci trascina in un caleidoscopio di sentimenti, sogni infranti, desideri, follie.
Ed è questa, a mio avviso, l’eccezionalità di questo scrittore: una storia che raccontata da un altro sarebbe stata forse “normale”, l’ha trasformata in un capolavoro.